Obiezione di coscienza o disobbedienza civile a basso costo?
24 febbraio 2017
L’episodio dell’ospedale San Camillo di Roma evidenzia come la percentuale di obiettori all’interruzione di gravidanza sia anomala e preoccupante
Continua il dibattito sull’obiezione di coscienza all’interruzione di gravidanza prevista dalla legge 194/78 dopo la vicenda dei due ginecologi assunti all’ospedale San Camillo di Roma tramite un concorso indetto dalla Regione Lazio e aperto a chi non vuole fare obiezione. «In caso contrario verrebbe disattesa la legge», ha spiegato il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Contrari i medici cattolici e la Conferenza episcopale italiana, che è intervenuta per dire che l’obiezione di coscienza è un diritto. Un commento di Ilenya Goss, medico, che ha insegnato Etica e Storia della Medicina all’Università di Torino, ed è componente della commissione Bioetica della Tavola Valdese.
Cosa pensa di questo tentativo di applicare la legge e della relativa polemica?
«La prima osservazione è che se una struttura sanitaria si è trovata nella necessità di bandire un concorso con queste caratteristiche, viene da pensare che probabilmente stia semplicemente cercando di applicare la legge 194. Questo ci porta a pensare che forse la struttura è in carenza di personale disposto ad applicare la norma in vigore e stia cercando soltanto di garantire il servizio. La seconda osservazione è che, nonostante la ministra Lorenzin abbia ribadito che il numero di obiettori non impedisce l’applicazione della legge, un episodio di questo tipo racconta una storia diversa: è evidente che la percentuale sia anomala e preoccupante. Quanto avvenuto in questi giorni riporta in primo piano la questione dell’obiezione di coscienza in sanità e come viene applicata. Inoltre, come il governatore della Regione Lazio ha ben spiegato, nella formulazione del bando di concorso non si chiede in modo esplicito che non ci sia obiezione, ma viene da pensare semplicemente che gli obiettori, coerentemente con la loro scelta, rinuncino a questo concorso. La struttura ha bisogno di un profilo professionale che garantisca quel tipo di servizio, quindi non si capisce perché dovrebbe assumere personale che afferma che non lo coprirà, impedendo di applicare la legge».
Il dibattito sull’onere compensativo resta centrale, anche perché in alcuni casi c’è una diminuzione del lavoro per chi obietta. È vero che la decisione di Zingaretti tradisce lo spirito della legge?
«Questo commento è stato fatto dal rappresentante della Cei. Ecco, di fronte a queste parole osserverei invece che è l’obiezione di coscienza così come viene esercitata oggi a tradire se stessa: tradisce il senso che dovrebbe avere l’obiezione di coscienza. Se da diritto costituzionale si trasforma in impedimento per altri individui ad accedere a un servizio, non è più obiezione di coscienza. Mancano almeno due caratteristiche: una è l’onere compensativo, che nel caso dell’obiezione alla leva obbligatoria, per esempio, prevedeva una ferma più lunga. In sanità l’onere compensativo scompare, e talvolta ci sono anche dei vantaggi di vario tipo a livello lavorativo e professionale. Inoltre, l’obiezione dovrebbe riguardare una minoranza, e dunque non mettere in discussione l’applicazione della legge. Quando invece il numero di persone diventa così alto, a quel punto non si tratta più di una minoranza, ma di una disobbedienza civile a basso costo. Siamo fuori dallo spirito di ciò che doveva essere l’obiezione. La professione medica prevede un forte impegno a livello di coscienza ma occorrerebbe considerare che è inserita in un sistema di leggi, dunque quando si vuole fare questa professione, i conflitti etici che si possono presentare dovrebbero essere molto chiari».
Pensavamo che le ingerenze dei vescovi sulle questioni pubbliche fossero diminuite: ci sbagliavamo?
«Credo di sì. La Cei si è espressa e non è stata la prima volta né sarà l’ultima. Penso che se un' istituzione, anche religiosa, si esprime su dei temi sensibili di interesse pubblico vada bene, ma se tutto questo si trasforma in una pressione politica significativa invece no. Così come il fatto che in uno stato laico ci sia una disparità di trattamento e di ascolto delle voci presenti nella società civile che dovrebbero a pari titolo confrontarsi sui problemi di questa portata, cosa che non avviene».