Alan Turing, nato a Londra nel 1912, era un matematico, considerato fra i padri della moderna informatica. Alan Turing era un genio, a 28 anni già alla testa di una squadra di ricercatori il cui scopo era decrittare i codici segreti utilizzati dalla Germania nazista per comunicare. Le sue scoperte contribuirono a ridurre la durata della seconda guerra mondiale, grazie alla possibilità di anticipare molte mosse del nemico. Lo scienziato avrebbe quindi meritato tutti gli allori e i ringraziamenti di questo mondo. Il segreto di stato sulla sua attività di fatto impedì per anni che il suo ruolo fosse noto al pubblico, ma c’era un altro problema, ancor più insormontabile per l’Inghilterra di quel tempo. Alan Turing era gay, in una nazione ancorata ad una norma, l’emendamento Labouchere, inserita nell’ampia legge generale sul crimine del 1885, che aveva introdotto il reato di atti osceni. Per gli omosessuali era ancora previsto il carcere e la depenalizzazione arriverà solo nel 1967. Troppo tardi per salvare Turing, incriminato per i rapporti con un giovane, maggiorenne, ospite a casa sua, in una sfera quindi prettamente privata. Durante il processo lo scienziato non negò nulla. Costretto a scegliere fra il carcere o la castrazione chimica mediante l’assunzione di estrogeni scelse questa seconda via. Fu il dramma: perdita delle capacità motorie, sviluppo del seno, crisi depressive. Il suicidio a soli 41 anni pose fine ai suoi tormenti.
La storia di Turing è quella di migliaia di omosessuali nel Regno Unito, costretti a patire pene giudiziarie e sociali atroci. Il 31 gennaio di quest’anno è entrato in vigore il Turing Law, così ribattezzato proprio per rendere omaggio postumo al grande matematico e alle sue sofferenze; il governo britannico sancisce il perdono postumo e la riabilitazione giudiziaria degli omosessuali. Si stimano siano all’incirca 60 mila gli uomini che nel tempo sono stati giudicati colpevoli e 15 mila almeno sarebbero ancora in vita. Dai casellari giudiziari di tutte queste persone verranno cancellate le sentenze di condanna per il reato di omosessualità.
«Sono molto felice per la scelta del governo di riabilitare così tante persone arrestate e accusate di reati da tempo non più perseguibili nei tribunali – commenta a caldo il pastore metodista Timothy Macquiban della comunità di Roma ponte Sant’Angelo. Dalla Giamaica in cui si trova in questi giorni per un importante incontro internazionale fra battisti e metodisti, il pastore ricorda come «la Chiesa metodista nel Regno Unito abbia giocato un ruolo importante nel sensibilizzare il paese su un argomento che per troppi anni è stato considerato tabù. A ciò si è aggiunto l’accompagnamento delle persone che hanno sofferto per queste vicende, patendo isolamenti e un rifiuto generalizzato. Compito questo che la chiesa continua a svolgere perché molti di questi uomini sono ancora in vita». Già nel 1993, al termine di anni di ragionamenti e dibattiti, il metodismo inglese è giunto all’approvazione di un testo che ribadiva la sessualità come afferente alla sfera delle scelte responsabili individuali, ed apriva al ministero gay e lesbico all’interno delle comunità. «Da quel momento in poi sono giunte le altre scelte – conclude Macquiban- dalla benedizione delle coppie dello stesso sesso nel 2005, e dal 2014 dopo che il matrimonio omosessuale è divenuto legale anche la possibilità concessa ai ministri di fede di celebrarli». Ora il perdono postumo. O tardivo.