Lutero e gli ebrei: la parola agli storici
27 gennaio 2017
Un’intervista al professor Daniele Garrone, docente di Antico Testamento alla Facoltà valdese
Lunedì prossimo, a partire dalle 18, il Centro culturale protestante di Milano ospita «Gli ebrei di Lutero», un incontro che ricalca titolo e intenzioni di un recente studio che Thomas Kaufmann ha dedicato al cosiddetto «antigiudaismo di Lutero». In Italia il libro è stato pubblicato dall’editrice Claudiana, e dal giorno della sua presentazione ha contribuito ad alzare il livello di un dibattito che necessita della solidità della storia intesa come disciplina, ma che troppo spesso risulta abbandonato al sensazionalismo dei titoli. In vista dell’incontro milanese che lo vede tra i relatori, ne abbiamo parlato con il professore Daniele Garrone, docente di Antico Testamento presso la Facoltà valdese di Teologia.
Chi sono gli «ebrei di Lutero»? E perché è importante chiederselo?
«Ha molto senso chiedersi che immagine avesse Lutero degli ebrei, ma aggiungo che il quesito non andrebbe limitato a Lutero. Le diverse correnti della Riforma, per meglio dire “le riforme” del XVI secolo si sono occupate degli ebrei dell’Antico Testamento, degli gli ebrei del tempo di Gesù ed infine degli ebrei contemporanei, che all’epoca vivevano ai margini della società cristiana. Insisto su questi tre livelli, ma è importante ricordare che anche “le riforme”, come il resto della cristianità, hanno parlato di ebrei anche in assenza degli ebrei; nell’Europa cristiana essi erano anzitutto un topos teologico e politico, anche in zone in cui non erano presenti: ad esempio non ve n’erano a Ginevra, Zurigo e in vaste zone della Germania. Per quanto riguarda Lutero, egli pose gli ebrei al centro di alcuni scritti tematici, testi che vennero ripresi e strumentalizzati dal nazionalsocialismo; tuttavia in prospettiva storica dobbiamo riconoscere che posizioni analoghe sull’opportunità che gli ebrei vivessero separati dai cristiani furono proprie di altri riformatori, come Martin Bucero. Il ghetto era stato istituito a Venezia nel 1516, lo sarà a Roma nel 1555. Se questo era il contesto europeo, la peculiarità che possiamo riconoscere agli scritti di Lutero è la crescente animosità che caratterizza il suo rapporto con gli ebrei; ma anche qui bisogna fare attenzione, perché il cambio di prospettiva non fu legato ad incontri o ad esperienze concrete, si trattò di una polemica sul piano teologico. Gli ebrei non riconoscevano nell’Antico Testamento la promessa di Cristo redentore: per Lutero e non solo per lui questa posizione era blasfema, demoniaca; tollerarla equivaleva a rendersi complici. Da questa convinzione teologica proviene la richiesta, politica ed estrema, che Lutero formula alle autorità di espellere gli ebrei e distruggere le sinagoghe. Se le leggiamo con gli occhi di chi ha visto il Novecento, quelle pagine sembrano il programma della notte dei cristalli».
Cosa significa, nel quinto centenario della Riforma, studiare e comprendere l’antigiudaismo di Lutero?
«Gli “ebrei di Lutero” qualificano senza dubbio la riflessione che il 2017 ci impone con la sua carica simbolica. Tuttavia le relazioni tra ebraismo e protestantesimo sono da anni al centro delle riflessioni dei protestanti europei: tedeschi, italiani e non solo. Il libro di Kauffman si inserisce nel solco scavato da decine di studi, un processo di presa di coscienza e di conseguente presa distanza che non coinvolge solamente l’accademia ma vive a tutti i livelli: nelle reiterate prese di posizione delle chiese e delle comunità. Nel 1980 il sinodo evangelico della Renania approvò un’epocale dichiarazione chiamata “Conversione e rinnovamento”; nel 1983 si celebrarono i 500 anni della nascita del Riformatore, e anche in quell’occasione il tema venne affrontato seriamente. In vista del 2017 la Chiesa evangelica in Germania (Ekd), ad esempio, ha pubblicato un documento in cui si afferma in tutta chiarezza che oggi, in Germania, nel protestantesimo, nessuno può approvare quanto espresso da Lutero contro gli ebrei. A mio giudizio il problema attuale non è tanto quello di reiterare la condanna di quanto fatto dai nostri predecessori – cosa già avvenuta a tutti i livelli –, ma di comprendere con quali rotture, con quali nuove formulazioni teologiche noi che ci dichiariamo convintamente eredi delle riforme del XVI secolo affrontiamo il tema della relazione con gli ebrei e con Israele, partendo dal fatto immutato che con gli ebrei condividiamo una parte delle Scritture. Per un vero rinnovamento non basta dire “no” a quanto detto prima, bisogna che la cristianità protestante sappia riformulare in positivo un nuovo rapporto con l’ebraismo e con Israele».
Quale fu, nella Germani nazista, lo scritto più strumentalizzato?
«Senza dubbio Gli ebrei e le loro menzogne, un testo del 1543 che fino agli anni Trenta del XX secolo non ebbe quasi nessuna diffusione. Sarebbe sbagliato immaginare che nel corso dei secoli i protestanti tedeschi siano cresciuti “a pane e scritti antiebraici di Lutero”. La “riscoperta” al tempo del nazismo fu puramente strumentale: alle chiese evangeliche venne addirittura mossa l’accusa di avere nascosto per secoli “le perle” del Riformatore. La novità del nazismo fu la fusione degli stereotipi tipici di tutto l’antigiudaismo cristiano – che come sappiamo non è un’invenzione né medievale né moderna ma comincia molto presto nei primi secoli del cristianesimo – con le nuove teorie razziali pseudoscientifiche. Questa commistione è storicamente senza precedenti; l’antigiudaismo di Lutero e di altri contemporanei fu, come quello dei padri della chiesa, di natura teologica ed ideologica. Come spiega molto bene Kauffman, per la durissima polemica di Lutero fu determinante la sua rivendicazione dell’Antico Testamento come testimone di Cristo. Su questa costante della sua teologia, si nota però un cambiamento: nello scritto “Gesù Cristo è nato ebreo” (1523) in cui si difende dall’accusa di aver messo in discussione la nascita di Gesù Cristo da Maria Vergine, Lutero spiega che se gli ebrei non sono divenuti cristiani questa non è una colpa ebraica, ma il risultato delle mancanze dei cristiani stessi, della chiesa, che invece di testimoniare Cristo l’ha corrotto. Fu Lutero a inventare per la cristianità l’idea che il Vecchio Testamento andasse letto e tradotto dall’ebraico, non dal latino della Vulgata. Alle letture ebraiche che non vedono nell’Antico Testamento quella che per lui è una chiara ed esplicita testimonianza a Gesù Cristo, egli oppone una virulenta, animosa, squalificante polemica, combattendo una sorta di “battaglia finale”, dai toni apocalittici, centrata sulla Bibbia».
Quanto è importante, per le chiese e per le società, la ricostruzione storica del fatto religioso?
«È fondamentale. I personaggi, le loro scelte, le loro parole sono fatti umani che avvengono nella storia, e soltanto con un approccio storico noi possiamo comprenderli e ricostruirli. Se vogliamo arrivare al nocciolo della questione, come credenti e come protestanti noi non celebriamo – né santifichiamo, né indoriamo o peggio ancora mitizziamo – la Riforma intesa come processo storico; noi celebriamo quello che della parola di Dio tramite questo umanissimo fenomeno si è riscoperto. Se lo paragoniamo agli altri centenari che lo hanno preceduto, il 2017 non sta cedendo al trionfalismo. Viviamo in tempi in cui nuovamente emerge come uomini mobilitati da motivazioni religiose possano fare cose disastrose. Ti faccio la guerra perché sei blasfemo, perché i tuoi comportamenti e le tue azioni sono lesive dell’onore di Dio che io intendo difendere. Purtroppo la religione nella storia ha già dimostrato di poter assolvere a questa funzione, indipendentemente da altri interessi economici, etnici o culturali. Ecco perché è importante studiarla. E a fondo».