In una splendida giornata di sole, sabato mattina, 21 gennaio, nel “salotto di Roma” come viene chiamata piazza della Rotonda al Pantheon, si parlava inglese.
Un migliaio di americani, ma non solo, donne e uomini, famiglie, bambini e bambine sono scesi in piazza per dire a Trump che loro ci sono, che «lo terranno d’occhio», che loro sono “We the People” con cui comincia la Costituzione americana. Lo ricordavano con molti cartelli colorati, molti selfie ed entusiasmo.
Si tratta della manifestazione che è stata organizzata nello stesso giorno in tutto il mondo in collegamento con la grande manifestazione di Washington, promossa dalle donne. Come il sole girava, così dall’Asia e dall’Australia, americane ed americani sono scesi in piazza da Sidney a Singapore, passando per le grandi città d’Europa, fino a New York e Washington, per continuare in tutte le grandi città degli Stati Uniti e del Canada fino a Los Angeles e Vancouver. Un tam-tam che ha girato il globo, ha mobilitato milioni di americani e che a Washington ha visto scendere in piazza quasi 500mila persone. 470mila biglietti della metro venduti!
«Una manifestazione piena di ironia, divertimento, legata a migliaia di cartelli, in cui ognuno è attore e spettatore - mi scrive Paolo Emilio Landi in una mail da Washington dove si trova in questi giorni - gli americani riscoprono se stessi, gli sconfitti scoprono di non essere soli. La grande depressione del dopo voto, lo shock di vedere l'impossibile diventare realtà, sta trovando la sua cura, un nuovo impegno politico».
Manifestazione a Roma. Foto di Gianna Urizio
Il neo eletto Donald Trump è il primo presidente americano che suscita una reazione del genere. Milioni di americani ovunque negli Stati Uniti e nel mondo si appellano alla costituzione per ribadire che «ci vogliono ponti e non muri», che loro sono “il popolo”. Mentre mi aggiravo tra gli americani di Roma mi chiedevo: qual è il messaggio che vogliono mandare a Trump? «La politica che vuole seguire Trump ci riporta indietro – mi dice una donna che porta il cartello “bridges not walls”, ponti non muri – oggi io mi vergogno di essere americana». Poi si corregge: «oggi mi vergogno di avere Trump presidente». Quello che mi colpisce aggirandomi tra questi allegri americani, sono i discorsi diretti, semplici. «Lui no, noi sì». Per terra c’è un grande striscione dove in grande è ribadito “bridges not walls” e molti pennarelli con post-it (rosa!) a disposizione per scrivere pensieri ed opinioni. Così tutti possono dire la loro, partecipare.
E c’è davvero di tutto. Brevi frasi, slogan, che rivelano la visione e la forza di chi crede fermamente nella democrazia, nel fatto che uno vale uno: la giovane universitaria che studia a Roma, e che esita prima di scrivere, e Trump. “Noi siamo una sola famiglia umana”, “Abbracciare la diversità” “Le nostre voci unite non potranno essere silenziate” e ancora “Cittadini US per la pace e la giustizia”, “non borbottare, ma organizzare”.
Tutto bello, ma mi chiedo cosa potranno queste manifestazioni contro una macchina organizzata come la Casa Bianca?
Domenica ne parlo a lungo al telefono via skype con mia cognata, italiana americanizzata che vive a Washington, e che anche lei, a 77 anni, ha manifestato con le sue amiche venute anche da fuori Washington. «C’era tanta gente che non ci si muoveva, già alle 9 di mattina la metro era strapiena. Insomma si aspettavano 200mila persone e forse eravamo 500mila».
Sì, dico io, grande manifestazione, ma cosa potrà mai contro un presidente eletto?
Mi corregge subito: «non abbiamo manifestato contro Trump ma per mandare un messaggio chiaro al Congresso. Ai senatori e ai rappresentanti del popolo. Abbiamo voluto dire loro che ci sono cose che noi non accetteremo, contro le quali siamo pronti a mobilitarci. Riguarda i temi della salute, l’istruzione, l’ambiente e la politica estera. Temiamo un populismo di facciata e una politica aggressiva che non modificherà nella sostanza le condizioni di vita di coloro che pure lo hanno votato. Il congresso può molto. Nessuna decisione dell’esecutivo passa senza l’approvazione del congresso che ha anche le chiavi del bilancio statale. Ma questo Congresso vorrà o saprà opporsi alle politiche di Trump chiedo? E’ questa la scommessa», è stata la sua lapidaria risposta.
Immagine: Daniela Barbero