La Chiesa evangelica in Germania (Ekd), forma istituzionale della comunione di 20 chiese regionali luterane, riformate e unite, ha approvato nel suo ultimo Sinodo (Magdeburgo, 3-9 novembre 2016) una Dichiarazione su Cristiani ed Ebrei come testimoni della fedeltà di Dio1.
Richiamandosi al Salmo 146, 6, dove Dio è definito come colui «che mantiene per sempre la fedeltà», le chiese dell’Ekd escludono la cosiddetta «missione agli ebrei», cioè una testimonianza mirata alla conversione di ebrei al cristianesimo. L’interesse per la «missione agli ebrei», spesso sostenuto da un atteggiamento empatico, fu uno dei tratti caratteristici del Pietismo prima e del Risveglio poi, e anche in Germania furono fondate varie organizzazioni «specializzate», oggi riconvertite al dialogo con l’ebraismo, senza fini proselitistici.
Nell’autunno del 2015, il Sinodo della Ekd aveva approvato una dichiarazione su Martin Lutero e gli Ebrei in cui ci si distanziava dalle sue offese agli ebrei; si affermava che la visione che il riformatore aveva degli ebrei «è, secondo la comprensione a cui siamo giunti oggi, incompatibile con la fedeltà di Dio al suo popolo attestata nella Bibbia» e si rilevava la necessità di compiere «ulteriori passi di conversione e di rinnovamento». Uno di questi passi è appunto affrontare una questione come quella della «missione agli ebrei», che pone su entrambi i fronti delicate questioni di identità. Da parte cristiana si tratta della «autocomprensione come chiesa di Gesù Cristo». Per gli ebrei si tratta di «una lunga e dolorosa storia di conversioni forzate e di negazione della loro identità di popolo di Dio permanentemente eletto».
Il concetto di irrevocabilità della elezione di Dio fu utilizzato già dal Sinodo della Ekd tenuto a Berlino-Weissensee nel 1950, dal quale uscì la prima presa di posizione del protestantesimo tedesco dopo la Shoah che affrontò il rapporto tra protestanti ed ebrei senza gli imbarazzi, le ambiguità o gli errori delle precedenti dichiarazioni (Stoccarda 1947; Darmstadt 1948).
Il documento della Ekd parte proprio da una affermazione di Berlino-Weissensee 1950: «la promessa di Dio riguardo al popolo di Israele da lui eletto permane anche dopo la crocefissione di Cristo». E prosegue: «Da allora, nella teologia e nella chiesa, si è riflettuto sulla prospettiva della permanente elezione di Israele, ci si è interrogati sulle sue conseguenze e la si è resa fruttuosa per l’insegnamento della chiesa. Confermiamo: l’elezione della chiesa non ha preso il posto dell’elezione di Israele. Dio rimane fedele al suo popolo. Quando noi, come cristiani, ci atteniamo al nuovo patto che Dio ha stipulato in Cristo, manteniamo nel contempo fermo che il patto di Dio con il suo popolo Israele è ancora illimitatamente valido. L’ammissione della storia di peccato nei confronti degli ebrei e della corresponsabilità cristiana nella Shoah ha portato a un processo di ripensamento che si è ripercuote anche sulla possibilità di una testimonianza cristiana nei confronti degli ebrei» (n. 1).
Il terzo (2000) dei tre studi dedicati dalla Ekd al tema «Cristiani ed ebrei» aveva ricordato come ebrei e cristiani vivano allo stesso modo dell’azione di Dio che si manifesta come patto a cui egli è fedele. Ne consegue che: «i cristiani, nonostante essi siano inviati nel mondo, non sono chiamati a indicare a Israele il cammino verso Dio e alla sua salvezza. Tutti gli sforzi intesi a portare gli ebrei a un cambiamento di religione contraddicono la confessione della fedeltà di Dio e dell’elezione di Israele» (n. 2).
L’idea della permanente elezione di Israele da parte di Dio viene poi sviluppata in positivo. «Tramite l’ebreo Gesù di Nazareth, i cristiani sono permanentemente legati al popolo di Israele. Il rapporto con Israele, per i cristiani, è parte della propria storia di fede e della propria identità. Confessano “Gesù Cristo, ebreo, che in quanto messia di Israele è salvatore del mondo”»2. «Il fatto che ebrei non condividano questa confessione, lo rimettiamo a Dio. Sul cammino della conversione e del rinnovamento, abbiamo imparato da Paolo che Dio stesso mostrerà al suo popolo il compimento della sua salvezza (cfr. Rom 11,25ss.). Per noi, la fiducia nella promessa di Dio e la confessione di Gesù Cristo vanno insieme. Il mistero della rivelazione di Dio comprende sia l’attesa del ritorno di Cristo nella gloria sia la fiducia che Dio salvi il suo popolo, che ha chiamato per primo».
Sembrano riecheggiare qui sia la teologia riformata dell’unico patto, sia alcune voci protestanti che, a partire già dal XVI secolo, avevano sostenuto che la prima venuta di Cristo non aveva ancora compiuto, ma neppure abolito, le promesse a Israele.
Queste le principali affermazioni teologiche del Sinodo dell’Ekd. Su questa base, il Sinodo sottolinea la ricchezza spirituale dell’incontro tra cristiani ed ebrei e delle prospettive che esso apre e che sono da cogliere (nn. 4-5-6) e non soltanto ribadisce il suo rifiuto di ogni antigiudaismo e antisemitismo, ma anche la necessità di vigilare contro ogni presentazione distorta dell’ebraismo nell’insegnamento, nella cura d’anime e nella diaconia. Esprime anche l’impegno a far giungere queste sue posizioni nelle comunità. Questa è la vera sfida, se si vuole evitare che la grandi dichiarazioni ufficiali restino bei proclami. La forza dell’antigiudaismo consisteva nel fatto che era comune a tutti, dal semplice membro di chiesa al grande teologo. Così dovrà essere anche di ciò che abbiamo capito dopo secoli di cecità e di pregiudizi colpevoli.
1. https://www.ekd.de/synode2016/beschluesse/s16_05_6_kundgebung_erklaerung_zu_christen_und_juden.html
2. Qui viene ripresa un formulazione della giustamente famosa dichiarazione Conversione e rinnovamento con cui il Sinodo della Renania del 1980 segnò una tappa fondamentale del processo di ripensamento del rapporto con l’ebraismo in ambito protestante.