Trattenuta in aeroporto, interrogata, espulsa. Tutto nel giro di un pomeriggio. E’ successo ieri 6 dicembre alla teologa Isabel Apawo Phiri, vice-segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), giunta insieme ad una delegazione ecumenica all’aeroporto “Ben Gurion” di Tel Aviv. Accusata dalle autorità israeliane di boicottaggio anti-israeliano non le hanno concesso il visto d’ingresso. Stando alla stampa locale si tratta di una prima assoluta, ed è capitato proprio a lei.
Era giunta ieri da Ginevra all’aeroporto di Tel Aviv per incontri con diversi leader religiosi in agenda a Gerusalemme e per appuntamenti nel quadro del Programma ecumenico di accompagnamento in Palestina e Israele del CEC (EAPPI). Negli ultimi 18 anni più di 70 chiese e organismi ecumenici di 22 paesi sparsi su tutti i continenti hanno attivamente partecipato a questo programma. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, Isabel Apawo Phiri sarebbe stata espulsa sulla base di un suo presunto attivismo anti-israeliano: i ministri dell’interno e della sicurezza pubblica l’hanno accusata di essere coinvolta in un gruppo di chiese che sosterrebbe il cosiddetto Boycott, Divestment and Sanctions Movement (movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni – BDS). Un’accusa rispedita con veemenza al mittente: per il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del CEC – che si stupisce dell’azione delle autorità israeliane - si tratta di informazioni completamente infondate. «Ci rammarichiamo dell’antagonismo israeliano nei confronti delle iniziative per la pace e la giustizia del CEC indirizzate sia a israeliani che a palestinesi», si legge nel comunicato diramato ieri in serata dal CEC, che ha già incaricato i suoi legali a ricorrere in appello contro questa «misura ingiusta e discriminatoria» ai danni di Apawo Phiri.
Costernazione e stupore sono stati espressi ieri da Tveit, anche muovendo dalla seguente considerazione: la collega, originaria del Malawi, già docente presso l’Università “KwaZulu Natal” di Pietermaritzburg, in Sudafrica, era l’unico membro della delegazione ecumenica con origini africane, ma anche l’unica ad essere trattenuta. E la motivazione apportata dai servizi di sicurezza israeliani in effetti recita: «prevenzione di immigrazione illegale». Per il CEC – che parla di azione senza precedenti da parte di Israele - si tratta di un atteggiamento palesemente discriminatorio.
Non è la prima volta che è stato negato l’accesso sul territorio israeliano a collaboratori del CEC. Aveva suscitato molto clamore il rinvio nel maggio scorso di alcuni membri di un gruppo di lavoro sui cambiamenti climatici, trattenuti all’aeroporto di Tel Aviv per essere successivamente espulsi.