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Che l’Italia abbia, per larghissima parte, un territorio estremamente fragile, soggetto ad alluvioni e frane, è cosa ormai risaputa. Da Nord a Sud non vi è anno che non si associ a qualche disastro. La settimana appena trascorsa ha confermato questa criticità cui dare risposte concrete non pare troppo semplice.

Il Nord ovest, come la Sicilia, sono ancora una volta finiti sott’acqua; si sono perse vite umane, si contano i danni a strutture e case, sicuramente si tratterà di centinaia di milioni di euro. Curiosamente (e amaramente) hanno perso la vita, in val Chisone come in Sicilia, persone che stavano lottando contro le acque per salvare gli animali che allevavano.

Tecnicamente le alluvioni che periodicamente colpiscono il Piemonte (e a cui dunque anche le valli valdesi difficilmente sfuggono) sono legate a forti correnti umide meridionali che si scontrano con aria fredda e soprattutto hanno grande difficoltà a muoversi verso Est causa l’opposizione di un potente anticiclone che costringe e perturbazioni a stazionare per più giorni sulla fasce montane scaricando centinaia di millimetri d’acqua in poche ore; analoga situazione si verifica sulla Liguria e talvolta sull’alta Toscana. La situazione che trova l’acqua sul terreno determina effetti più o meno disastrosi.

Nei commenti del giorno dopo si sentono frequenti riferimenti all’eccessiva cementificazione, alla costruzione di case o fabbriche in zone troppo vicine ai fiumi, alla pessima abitudine di costringere i torrenti in spazi ridotti e magari anche «coperti» di cemento per ottenere ulteriori aree su cui costruire. È sicuramente il caso della Liguria. Diverso, di solito, il problema delle valli piemontesi.

Qui l’abbandono dei versanti, la riduzione costante di presenze umane in grado di gestire e controllare il territorio sono fra le cause primarie del degrado. Non a caso in tutte le vallate i maggiori danni riguardano questa volta le periferie: piccoli rii che per anni non vedono una goccia d’acqua e sui cui raramente si fa una corretta gestione e pulizia, boschi abbandonati da decenni che schiantano a terra sotto il peso oggi dell’acqua, domani magari del vento o della neve, trascinando a valle strade, porzioni di terra, case. Dove si fa una sistematica gestione i danni sono di solito contenuti, dove c’è abbandono ogni pioggia abbondante può essere l’occasione di un disastro.

Del resto da anni si fa poco per favorire una presenza antropica in montagna: le scuole sono lontane, la viabilità è precaria, i collegamenti Internet (a volte la stessa ricezione di un segnale tv) sono labili, il servizio postale, i trasporti, la sanità, hanno subìto anno dopo anno tagli pesanti. In questo quadro bisogna essere dotati di una certa dose di «follia» per abitare l’alpe. Con tutte le conseguenze sulla gestione del territorio; la terra abbandonata dagli uomini, abbandona a sua volta l’umanità al suo destino.

Foto: Massimo Bosco

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