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Sanatoria per le colonie illegali e divieto di altoparlanti sui minareti delle moschee, utili a diffondere la voce del muezzin che chiama i fedeli musulmani alla preghiera.

Israele urla al mondo la propria rabbia due volte in pochi giorni per questioni di denominazioni e titoli, prima per una risoluzione Unesco che cita i vari siti presenti a Gerusalemme con le loro definizioni arabe tralasciando quelle ebraiche, e oggi perché le lettere spedite dal governo Renzi agli italiani all’estero residenti in Israele e Palestina, relative alla campagna per il Si al prossimo referendum del 4 dicembre, riportano l’indirizzo di Gerusalemme inserito nello stato palestinese e non in quello israeliano. Ma di contro le azioni che lo stesso governo israeliano mette in opera sono concreti atti che vanno nella direzione totalmente opposta a quella della pace e del dialogo.

Domenica infatti il comitato ministeriale ha approvato una norma che andrà ora discussa dal parlamento, la Knesset, volta a creare una sorta di sanatoria per tutte quelle colonie israeliane illegali che nel tempo sono sorte nel bel mezzo dei territori attribuiti allo stato di Palestina, a partire da Gerusalemme Est, occupata illegalmente dal 1967, nonostante le proteste e le condanne più o meno formali degli organismi internazionali, gli stessi cui Nethanyauh e i suoi si rivolgono per rivendicare le questioni linguistiche di cui sopra.

Naftali Bennett, leader del partito ultranazionalista Casa Ebraica, ne è il primo firmatario: in sostanza si vogliono regolarizzare tutti gli insediamenti sorti su terreni privati in Cisgiordania, in maniera tale da partire da posizioni sempre di forza una volta che i dialoghi per la pace dovessero davvero riavviarsi. Regolarizzando lo status quo si legittimano quindi gli espropri e gli abusi subiti dalla popolazione araba dell’area, in barba addirittura a sentenze della Corte Suprema israeliana che ha più volte dichiarato illegittime varie colonie e insediamenti, prima fra tutte quella di Amona, in cui da oltre due anni prosegue il tiramolla fra le richieste di sgombero e la resistenza dei coloni appoggiati dal governo.

Lo stesso premier Benjamin Netanyauh ha definito infantile e irresponsabile la proposta del parlamento, dominato dalle destre, galvanizzate fra l’altro dalla vittoria elettorale di Donald Trump, valutato come spalla ideale per affossare le velleità arabe nella zona. A partire dal riconoscimento dello stato palestinese per giungere alla gestione della spianata delle moschee, in piena Gerusalemme Est.

Se nemmeno un falco come l’attuale primo ministro si è spinto fino all’appoggio delle proposte di Bennett, il suo strizzare l’occhio alle frange più estremiste si concretizza in questi giorni nel deciso favore raccolto da un’ulteriore proposta della Knesset, quella di ridurre il volume degli altoparlanti dei minareti delle moschee delle città, colpevoli di disturbare cinque volte al giorno la vita dei residenti.

La chiamata alla preghiera è simbolo di una comunità viva, come il corrispettivo suono delle campane delle chiese cristiane. Secondo i dati raccolti dal ministero per gli affari religiosi palestinese, solo nel 2014 e solo nella striscia di Gaza l’esercito israeliano ha distrutto con bombardamenti oltre 70 moschee e ne ha danneggiate centinaia, e quelle rimaste dovrebbero ora patire questo obbligo. L’iniziativa nasce dalla richiesta di alcuni ebrei di Gerusalemme Est, e Netanyauh l’ha appoggiata pubblicamente ricordando come «lo stato d’Israele sia impegnato a garantire la libertà di culto a tutte le religioni, ma come al contempo abbia l’obbligo di proteggere i propri cittadini dai “rumori”». E’ proprio questa la parola utilizzata, rumori. L’autorità nazionale palestinese ha affermato di valutare un ricorso alle Nazioni Unite per stoppare la legge, se mai dovesse venire infine ratificata dal parlamento.

La popolazione di Israele conta al proprio interno una ampia componente araba, il 17,5%, a larghissima maggioranza di fede musulmana. Circa 300 mila di essi vivono a Gerusalemme Est.

Immagine: Di Daniel Majewski - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21858811

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