La scorsa settimana 21 ragazze delle 276 studentesse rapite da Boko Haram nell’aprile del 2014 a Chibok, nel nord-est della Nigeria, sono state liberate. E in queste ore il governo nigeriano sta negoziando il rilascio di altre 83 ragazze delle oltre 190 giovani ancora nelle mani dei guerriglieri.
Il rilascio delle giovani è frutto di faticosi negoziati tra il governo del paese e il gruppo armato islamico, grazie alla mediazione della Croce rossa internazionale e del governo svizzero. Grande soddisfazione è stata espressa da Oby Ezekwesili, la fondatrice del gruppo «Bring back our girls» che aveva promosso una campagna di sensibilizzazione in tutto il mondo per poter aiutare le ragazze rapite. La notizia della liberazione è stata accolta con gioia e ottimismo anche da parte della Chiesa anglicana della Nigeria.
Eppure l’incubo di queste ragazze sembra non essere finito. Pogu Bitrus, presidente della Chibok Development Association ha detto che le ragazze liberate dovrebbero trasferirsi all’estero, dove potrebbero riprendere gli studi, in modo da evitare di subire ulteriori abusi nelle loro comunità. Le ragazze, infatti, rischiano di subire lo stigma di essere state prigioniere di Boko Haram per tutta la vita. Sono già tante le ragazze che, sfuggite al gruppo terroristico, hanno deciso di lasciare la loro regione d’origine dopo essere state etichettate e derise come «mogli di Boko Haram».
Boko Haram usa i sequestri di massa di donne e bambini e gli stupri come precisa strategia di lotta, intimidazione della popolazione civile e affermazione del suo potere. Human Rights Watch ha dichiarato che gli attacchi della setta integralista alle scuole, agli studenti e agli insegnanti nel Nordest della Nigeria hanno avuto un impatto devastante sull’istruzione. Dal 2009 – anno in cui sono cominciati gli attentati – al 2015 Boko Haram ha distrutto più di 900 scuole e costretto almeno 1.500 a chiudere. Da quando è iniziato il conflitto, il feroce gruppo armato ha sequestrato più di duemila persone, in gran parte donne e ragazzine.
Martedì scorso il relatore speciale delle Nazioni Unite sul traffico dei minori ha affermato che il governo della Nigeria deve prendere una posizione forte per «proteggere le sue ragazze da stigma e rifiuto». Il governo deve attivarsi affinché le studentesse riprendano gli studi e abbiano un sostegno psicologico necessario per contrastare i pregiudizi e l’idea che l’unica via di uscita sia fuggire dal proprio paese. In questo modo si potrà spezzare la catena di violenze subite, e le ragazze di Chibok potranno sperimentare che l’incubo è veramente finito.