Il 28 luglio veniva sgomberato il “ghetto” di Boreano, in Basilicata, baraccopoli nella campagna di Venosa in cui vivevano centinaia di braccianti agricoli indispensabili per la raccolta dei pomodori dell’alta Lucania. Le pessime condizioni igienico sanitarie e l’intenzione di sottrarre il lavoro al controllo dei caporali e della mafia locale erano stati un ottimo pretesto per lo sgombero, che avrebbe dovuto far defluire le persone in un centro di accoglienza della Croce Rossa. Cosa è successo da allora? Torniamo in quei luoghi, a due mesi e mezzo da quei fatti, con Daniele Troia, sovrintendente del XIV circuito della chiesa metodista e valdese.
Cosa rimane del ghetto?
«Nulla se non le macerie, ma i migranti non si sono spostati all'interno del campo di accoglienza della Croce rossa. Da quando ci fu la prima ordinanza di sgombero - noi eravamo presenti insieme ai migranti per aiutarli a mediare durante l'arrivo delle forze dell'ordine - nulla è accaduto. Allora ciò che creò più disagio fu stata la modalità con la quale uomini e donne servitori dello stato trattarono migranti e cittadini della Repubblica italiana, come me e Francesco Castelgrande dell'Usb, presenti per pacificare. Un comportamento vergognoso da parte di persone che non vollero nemmeno identificarsi».
Il centro di accoglienza, che inizialmente non era adatto, come è cambiato?
«Il luogo era inadeguato e da allora nessun intervento è stato fatto, nonostante da parte delle istituzioni c'era stato un impegno per migliorare la situazione: nel campo non c'erano i fornelli, non c'erano servizi sufficienti, non c'era l'acqua e così via. Nel frattempo si erano presi impegni per rendere questo luogo aperto, all'interno del quale chi si occupava dei migranti potesse interagire, facendo attività sul posto: tutto questo non è accaduto. Quello che era il ghetto di Boreano si è trasformato dopo lo sgombero in una pluralità di ghetti su tutto il territorio che va da Venosa a Monte Milone, dove le condizioni sono più assurde della situazione precedente. Tra l'altro il campo chiuderà a fine mese quando si concluderanno le raccolte del pomodoro e la vendemmia dell'Aglianico».
Si era detto che lo sgombero avrebbe sgominato il caporalato: è stato così?
«No, assolutamente. I proclami vengono fatti, ma l'unica forza sociale sul campo resta l'Unione Sindacale di Base con la sponda della chiesa Metodista di Venosa. Non ho visto altre forze sociali impegnate nel contrasto al caporalato, né mi pare che dopo i titoli a tutta pagina ci siano stati reali risultati. La normativa promessa dal governo non si sa che fine abbia fatto, ma il vero problema è culturale: se non si decide di fare una seria politica di accoglienza abitativa, per i migranti ma non soltanto, la situazione non si sbloccherà. Anche nelle grandi città riscontriamo della crisi abitativa per tutti, ma il caporalato gode di ottima salute».