Calci, percosse, vessazioni di ogni genere e detenzione illegali: questo il trattamento riservato ai rifugiati in Ungheria, come denuncia il rapporto "Speranze abbandonate: l'attacco dell'Ungheria ai diritti dei rifugiati e dei migranti" appena diffuso da Amnesty International. Senza contare la burocrazia, che ostacola in ogni modo le già difficoltose richieste d'asilo nel paese, la mancanza di corsi di lingua che agevolino l'inserimento dei pochi che riescono a ottenere un permesso di soggiorno, la diffidenza – per usare un termine bonario – nei confronti dello «straniero musulmano venuto per invadere la cristiana Ungheria», come recita la peggiore vulgata governativa. Straniero a cui non si affitta e non si dà lavoro, e poco importa se è fuggito da una guerra o ha famiglia da mantenere. Tutto il sistema orchestrato dal premier Viktor Orbán parla di una cosa sola: l'odio per l'altro e la ferma intenzione a respingerlo a qualunque costo.
Non bastavano i muri di filo spinato innalzati al confine con la Serbia e con la Croazia, o il rafforzamento dei militari stanziati sulla frontiera a dissuadere i malcapitati che cerchino comunque di passare; non è bastato al premier – dopo lunghe campagne d'odio contro i migranti – indire un referendum, previsto per il prossimo 2 ottobre, in cui i cittadini saranno chiamati a rispondere a un quesito la cui risposta sembra già scritta: «vorresti che l’Unione Europea, anche senza consultare il Parlamento, approvi che cittadini non-ungheresi si stabiliscano in Ungheria?». Secondo i sondaggi, infatti, il “no” raggiungerebbe l'80%, con buona pace della reazione scandalizzata di Bruxelles, che minaccia sanzioni in caso di vittoria del “no” e di una conseguente legge “anti-immigrati” che sarebbe in contrasto con le politiche unitarie. Niente che sconvolga Orbán, che da tempo ha dimostrato quanto tenga in conto l'opinione – e le disposizioni – dell'Europa. E poco importa se il referendum magiaro non conta formalmente nulla nelle decisioni della Ue, l'importante è compattare una nazione – istituzioni, chiese, cittadini – intorno a una volontà di chiusura totale verso l'esterno.
Non stupisce allora, in questo quadro, la terribile denuncia di Amnesty International, che parla di «centinaia di richiedenti asilo lasciati per mesi in condizioni degradanti in attesa di conoscere il loro destino, mentre molte altre persone riuscite a entrare in Ungheria vengono respinte in Serbia o trasferite illegalmente in centri di detenzione». E ancora: «Una legge del giugno 2016 consente l'immediato ritorno in Serbia di tutti i richiedenti asilo fermati fino anche a otto chilometri di distanza dal confine, in territorio ungherese. Le persone fermate vengono respinte illegalmente, senza alcuna considerazione per l'eventuale necessità di protezione o per particolari condizioni di vulnerabilità».
Nei due varchi di confine ci sono due “zone di transito” - di fatto dei container metallici – in cui riescono a entrare in tutto non più di 30 persone al giorno, mentre centinaia vivono in campi non ufficiali appena al di là della frontiera, in un limbo desolato fra Serbia e Ungheria. Amnesty, al momento della sua visita, ha contato 600 persone accampate in condizioni di degrado e senza i necessari servizi, in molti casi da mesi. Chi riesce ad accedere alle “zone di transito”, non si può certo dire al sicuro: sempre secondo la denuncia di Amnesty International, gli uomini in viaggio senza familiari vengono spesso detenuti illegalmente anche per quattro settimane. Se la domanda d'asilo dei rifugiati provenienti dalla Serbia viene giudicata inammissibile, e succede spesso, vengono rimandati indietro verso un Paese che però non li accoglie, rigettandoli al punto di partenza e costringendoli a inventarsi un altro modo per entrare in Europa.
«Agli operatori umanitari non è consentito entrare in queste “zone di transito” - aggiunge Márk Kékesi dell'associazione di solidarietà ai migranti Migszol – e di fatto non sappiamo che cosa accada alle persone che vi sono trattenute».
Per chi riesce a uscire dal purgatorio dei container e ad avere accesso ai campi di accoglienza in Ungheria, comincia un altro girone infernale: le condizioni sono terrificanti, le cure mediche scarse, minori e adulti spesso convivono nello stesso posto. E, soprattutto, la detenzione è la regola: Amnesty International ha infatti verificato che il 60 per cento dei 1200 richiedenti asilo registrati in Ungheria si trova nei centri di detenzione. Benvenuti in Europa.