La questione dell'uso del velo da parte delle donne di fede musulmana in Europa periodicamente torna ad occupare le cronache dei giornali, spesso utilizzata a fini strumentali quando le tensioni nei confronti del mondo islamico sono in una fase crescente. La Francia è stata la prima nazione a riattizzare il dibattito sul tema a seguito della decisione di una trentina di Comuni della Costa Azzurra di vietare l'utilizzo in spiaggia del cosiddetto burkini, sorta di costume da bagno integrale utilizzato per non venire trasgredire il precetto del velo per le donne. In questi ultimi giorni il Consiglio di Stato, massimo organo giurisdizionale francese ha bocciato l'ordinanza definendola “una violazione grave e apertamente illegale delle libertà fondamentali, che sono la libertà di movimento, di coscienza e personale” stabilendo che la loro limitazione per mano delle autorità locali può essere possibile solo quando vi sia un rischio appurato per la pubblica sicurezza. Parole che vanno nella direzione opposta di quanto invece aveva stabilito il tribunale amministrativo di primo grado di Villeneuve-Loubet, uno dei Comuni promotori, che aveva considerato il divieto “necessario e proporzionato”. Dibattito giuridico e sociale in corso quindi, così come in Germania, fra chi parteggia per un divieto totale dell'uso del velo e chi lo vuole limitare ai luoghi pubblici, idea abbracciata in questi giorni anche dalla cancelliera Angela Merkel.
L'argomento è delicato e complesso dal momento che intreccia vari aspetti, etici, culturali, storici, ovviamente religiosi, e andrebbe affrontato senza fini strumentali e slogan, ma attorno ad esso si agitano troppo spesso provocatori travestiti da tutori della morale comune, impedendo di fatto anche soltanto l'avvio di un dibattito serio. I leader di un continente incapace di far fronte all'emergenza terrorismo e al dramma dei migranti si azzuffano sui centimetri di stoffa di un costume da bagno, forse per distogliere l'attenzione da lacune imbarazzanti.
Facciamo una breve panoramica europea sui divieti o sulle licenze all'utilizzo di burqa e niqab, le due vesti che sostanzialmente lasciano scoperti solamente gli occhi delle donne che li utilizzano.
Partiamo proprio dalla Francia dove l'uso del velo integrale è vietato dal 2010 nello spazio pubblico, quindi al di fuori delle proprie abitazioni. Dal 2004 è fatto divieto a insegnanti e alunni di indossare segni distintivi della personale appartenenza religiosa.
In Germania invece ad oggi non esiste alcuna legge federale che legiferi sul tema. Al momento sono i vari Länd regionali ad aver stabilito o meno dei limiti, ad esempio per insegnanti o per dipendenti pubblici.
La legge belga, datata 2011, ricalca quella francese, e vieta quindi il velo integrale negli spazi pubblici, pena una multa di 137,50 € e fino a 7 giorni di carcere.
In Spagna non esiste una legge in materia. Alcune località, soprattutto in Catalogna, ne hanno vietato l'utilizzo negli uffici pubblici. Proprio il parlamento catalano nel 2010 dopo un ampio dibattito ha annullato una mozione che vietava la copertura del viso in tutta le regione.
La legge olandese, fresca di un anno, vieta l'uso del velo in alcuni luoghi pubblici quali le scuole, i trasporti, gli ospedali, e la polizia può richiedere ad una persona coperta di scoprire il volto in nome dell'obbligo all'essere identificabili.
Molto intenso il dibattito anche nel Regno Unito, ma nessuna legge in materia, in una delle terre più attente alla libertà d'espressione, valore bipartisan ribadito anche dall'ex premier David Cameron.
Stesso discorso per la Svizzera in cui non esiste alcuna norma, e per l'Italia, in cui a tante parole non ha fatto seguito alcuna decisione concreta, per cui il riferimento è ancora alla legge Reale del 1975, creata in tempi di terrorismo, in cui si vieta “l'uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Tutte le varie ordinanze che alcuni Comuni nel tempo hanno presentato per limitare l'uso del niqab sono state bocciate in nome proprio della libertà religiosa e del fatto che il suo uso non costituisce di per sé alcun reato.