In visita a Lampedusa
10 agosto 2016
Si è concluso a Lampedusa il tour mediterraneo dell’europdeputata Elly Schlein, presso l’osservatorio di Mediterranean Hope
Tra il 23 e il 26 luglio l’eurodeputata Elly Schlein e l’avvocatessa Alessandra Ballerini hanno visitato l'Hotspot di Trapani – dove quello stesso giorno sono sbarcate al porto 378 persone – per poi decollare alla volta di Lampedusa. Insieme a loro, in quei giorni di fine luglio, sono giunte dal mare 127 anime. In attesa della pubblicazione di un rapporto dettagliato sullo stato di entrambi gli hotspots, abbiamo chiesto all’europarlamentare di donarci qualche impressione a caldo sulla più estrema delle frontiere italiane.
Eravate già state a Lampedusa lo scorso gennaio. Le condizioni dell’hotspot sono migliorate?
«Purtroppo abbiamo riscontrato ancora gravi criticità: anzitutto, come diciamo da tempo, a Lampedusa non ci può essere un hotspot, l'isola ha una lunga e generosa esperienza di primissimo soccorso, ma non deve diventare un luogo di detenzione prolungata, entro le 48-72 ore le persone dovrebbero essere trasferite in strutture più adeguate sulla terra ferma. Invece ci raccontano di tempi di permanenza media ben più lunghi, di 25 giorni per i minori, e noi stesse abbiamo incontrato persone che si trovano nel centro dal 29 giugno».
Quali sono i problemi pratici, quotidiani, delle persone che vivono lì?
«Ad esempio i bagni della parte dell'edifico che ospita i minori sono inagibili, i bambini sono costretti a recarsi nella parte riservata agli adulti, dove peraltro in alcune stanze dormono 24 persone e forse più, visto che ci sono materassi anche per terra. Tutti ricevono un kit all'arrivo, ma non è chiaro con che frequenza venga rinnovato con il protrarsi della permanenza. Nel centro sono presenti anche i medici, ma a quanto pare uno solo con turnazione di una o due settimane, il che rende impossibile garantire l'operatività 24 ore su 24, considerando che nel centro al momento della nostra visita si trovavano 350 persone, e a volte sono ben di più».
A Lampedusa è aperto l’osservatorio di Mediterranean Hope, un progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) finanziato dall’otto per mille della Chiesa evangelica valdese. Come sa è sempre MH a promuovere i “corridoi umanitari”, presentati di recente al parlamento europeo di Bruxelles.
«Conosciamo e apprezziamo l’impegno che Mediterranean Hope sta spendendo su più fronti. A Lampedusa abbiamo organizzato un incontro per discutere le tendenze attuali delle politiche migratorie e dell'asilo dell'UE, la riforma di Dublino di cui mi occupo come relatrice per il gruppo Socialisti e Democratici, e il progetto dei corridoi umanitari che stanno portando avanti. Una buona pratica da cui avrebbero molto da imparare i governi europei. Come ho già dichiarato anche a “Riforma” (http://riforma.it/it/articolo/2016/07/01/i-corridoiumanitari-europa), ma non mi stanco di ribadirlo in nessuna sede istituzionale, vie legali e sicure d'accesso sono l'unico modo per combattere il traffico di esseri umani».
Mentre era sull’isola ha assistito ad uno sbarco. Cosa si prova in quei frangenti?
«Ho visto in azione i volontari del “Forum Lampedusa solidale”, che ha il pregio di mettere insieme residenti e organizzazioni di diversa provenienza e “credo”, tra cui appunto MH. Quelle persone fanno un lavoro prezioso e straordinario sul molo degli sbarchi. Offrono tè caldo, qualcosa da mangiare, coperte termiche e pupazzi per i bimbi. È commovente vederli in azione, sono il volto migliore da offrire a chi arriva, ed è incredibile quanta differenza faccia un sorriso e un po' di calore umano a persone che arrivano da un viaggio disperato e devastante».