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La religione c'entra

Dio o gli uomini vogliono le donne subalterne? Ne parliamo con Giuliana Sgrena, autrice del libro «Dio odia le donne» e con la pastora valdese Daniela Di Carlo

«Un titolo forte, una provocazione che ho voluto e che ho difeso nelle discussioni con l'editore proprio per il suo impatto forte, disturbante».

Ha ragione Giuliana Sgrena, non si può non partire dalla copertina nel presentare il suo ultimo lavoro, un libro che è un'analisi di come le tre principali religioni monoteiste, ebraismo, islam e cristianesimo (con un focus netto sul cattolicesimo, senza però rinunciare ad uno sguardo verso la realtà del pastorato valdese) siano improntate e costruite al fine di escludere le donne dalla società, se fosse possibile dal mondo, relegandole ad un ruolo di comprimarie, concubine, ombre.

"Dio odia le donne" quindi, accompagnato da un'immagine spiazzante, una donna, velata, diafana, forse un automa, lo sguardo assente, la rappresentazione di come l'universo maschile la vorrebbe al suo fianco. O come almeno la racconta attraverso i testi sacri. Bibbia e Corano, Talmud e padri della chiesa, un lungo e inesorabile elenco di prescrizioni, precetti, imposizioni, regole, tutte volte a imporre la subalternità femminile. L'approccio è quello della giornalista, da anni testimone delle vicende soprattutto mediorientali, e non quello della teologa, come correttamente segnalato nelle pagine iniziali, e lo spirito di analisi ne guadagna probabilmente in termini di oggettività. «E' un libro che mi è cresciuto dentro nel tempo – ci racconta a margine dell'ennesima presentazione del volume, questa volta alla libreria Trebisonda di Torino-. Ho lavorato per anni nei paesi arabi, ho visto stagioni di illusioni, di speranze poi mutilate, soprattutto attorno all'universo a me più caro, quello delle donne. Ma anche nelle nazioni occidentali si è troppo spesso abbassata la guardia, convinti che certe battaglie fossero vinte per sempre, e invece assistiamo al riproporsi di questioni vitali che diventano nuovamente terreno di esternazioni e pressioni del mondo religioso. Penso all'incredibile proliferare dei medici obiettori di coscienza, che rendono di fatto impossibile in molte province italiane l'aborto: un'interferenza inaccettabile per uno Stato che si vuole civile. Ma molti possono essere gli esempi, comprese le nuove sfide che le grandi migrazioni di questi anni recano con sé, ridisegnando gli scenari di fede cui eravamo abituati e ponendo nuove questioni al legislatore e alle società». Una sfida difficile per le nazioni, che paiono rispondere spesso con atteggiamenti di chiusura e negazione dei diritti primari (ad esempio la nazionalità del paese in cui un bambino figlio di migranti nasce), e al contempo sembrano incapaci di proporre un modello chiaro, non equivoco. «La risposta sta nella laicità, netta, delle istituzioni, che devono essere prive di condizionamenti e rendere lo spazio pubblico libero da ingerenze di qualsivoglia confessione».

Fra le pagine si snoda anche un'altra domanda fondamentale: è Dio o sono gli uomini a odiare le donne? «In quanto atea sono portata a dire che sono i secondi a odiare le donne, perché sono uomini gli autori di tutte quelle pagine di rancore nei confronti del genere femminile. Ma vedo un altro pericolo: troppo spesso di fronte a tragedie come quelle di Orlando in Florida sento dire che la religione non c'entra, che sono altri i temi in ballo. Non è vero, perché i folli giustizieri solitari o gli eserciti di fanatici sono sempre e comunque mossi dal loro background religioso che ne ha condizionato l'esistenza e ne ha deformato la capacità di approccio al mondo».

Non manca di conseguenza un appello forte, senza deroghe, perché «bisogna vigilare, sempre, per scongiurare ripiegamenti pericolosi verso stili e atteggiamenti sociali che vogliono le donne ancora una volta penalizzate, offese. Le vignette e le battute sessiste, costumi da bagno e tacchi a spillo, con cui sono state rappresentate da molti giornali le neo sindache donna di Torino e Roma sono perfetta testimonianza dello strisciante pregiudizio che sempre e comunque in Italia accompagna una donna nelle sue azioni».

«Certo, il titolo è azzeccatissimo, un pugno nello stomaco, anche se forse sarebbe stato più corretto "gli uomini che dicono Dio odiano le donne", perché sono loro a strumentalizzare la parola di Dio che ha fatto donne e uomini a sua immagine e somiglianza». Sono parole della pastora della chiesa valdese di Milano Daniela Di Carlo che alcune settimane fa ha presentato il libro nei locali della Casa delle Donne del capoluogo meneghino: «ho molto apprezzato il lavoro della Sgrena, che partendo da esperienze di contatti personali con donne e uomini incontrati negli anni di lavoro giornalistico sul campo, ha sviluppato e approfondito le relazioni fra religione e modelli patriarcali che si ripropongono un po' ovunque sempre uguali». Anche per la pastora la risposta al rischio di commistione fra Chiese e Stato può essere soltanto la laicità, «che è anche una delle sfide del mondo protestante italiano. Lo Stato deve essere il luogo in cui vengono garantiti i diritti per tutte e tutti, anche di espressione religiosa, e le questioni ecclesiastiche non vanno discusse in ambito politico, ma all'interno del proprio panorama confessionale. Non è più ammissibile che ogni volta che in Italia si discute di temi etici, giunga inesorabile un'ingerenza, un monito, un freno soprattutto da parte cattolica. Ma tutti noi in realtà dobbiamo interrogarci sul perché anche le chiese siano troppo spesso luogo di esclusione di alcune categorie di persone (donne dal sacerdozio, coppie Lgbt dalla possibilità di unirsi in matrimonio e via dicendo), mentre dovrebbero divenire luogo di accoglienza e ascolto».

Dio Odia le donne / Il Saggiatore, 2016

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