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La giovine Italia: madri e figlie si raccontano

Al Teatro Vittoria di Torino, questa sera e domani, va in scena: «La giovine Italia». Una prospettiva di dialogo tra culture e religioni al femminile per mettere a nudo i sogni, le speranze ma anche i limiti del vivere quotidiano. Intervista all’attrice e drammaturga, Vesna Scepanovic

Nell’ambito del bando MigrArti, promosso dal Mibact, questa sera e domani, al Teatro Vittoria di Torino andrà in scena: «La giovine Italia». Uno spettacolo interamente al femminile, dove madri e figlie si raccontano. Le giovani italiane, di origine straniera nate negli anni ottanta e novanta in Italia, parlano alle loro madri che in quegli anni vi erano approdate. Una prospettiva di dialogo tra culture e religioni per mettere a nudo i sogni, le speranze ma anche i limiti del vivere quotidiano. Abbiamo intervistato l’attrice e drammaturga, Vesna Scepanovic

Scepanovic, La giovine Italia è un titolo impegnativo. Perché questa scelta?

«È stato scelto volutamente, proprio perché ha un forte valore simbolico: riprende il sogno di Mazzini, quello di una Repubblica democratica fondata secondo i principi di libertà e di unità».

L’Italia di oggi è ricca di culture e tradizioni giunte da ogni parte del mondo. Dunque un’Italia diversa da quella immaginata da Mazzini?

«Lo spettacolo riflette infatti sul rinnovamento culturale della società contemporanea messo in atto da persone giunte in Italia da ogni parte del mondo. Indaga il rapporto che intercorre tra le diverse generazioni. Tutto è raccontato al femminile; in evidenza c’è il vincolo affettivo tra le figlie e le madri: quest’ultime arrivate in Italia negli anni ‘80 e ‘90. In scena saremo in 16, con le nostre ragazze poco più che ventenni. Lo spettacolo si basa sul confronto tra figlie – nate in Italia – e madri che vi arrivarono per diversi motivi: per sfuggire alla guerra, per superare le ristrettezze economiche, per sottrarsi alle persecuzioni o semplicemente per amore. E proprio da questo amore, all’inizio degli anni novanta, sono nate le ragazze che questa sera e domani saranno in scena al Teatro Vittoria di Torino».

Almateatro nasce in quegli anni?

«23 anni fa. Questo spettacolo – con la regia di Gabriella Bordin – è una sorta di bilancio dell’attività ventennale e intende rispondere ad alcune domande: chi eravamo? come ci siamo trasformate? siamo riuscite a far giungere e a diffondere le nostre idee, le nostre visioni, i nostri pensieri alla società di allora e a quella di oggi? Il progetto La giovine Italia si sviluppa su queste domande ed altre ancora, più profonde, per fare un’analisi sull’integrazione in Italia oggi; capire come sia stato possibile un ritorno a chiusure mentali, culturali e frontaliere che alcuni paesi europei oggi esprimono e che alcuni partiti politici cavalcano. Oggi assistiamo attonite all’arrivo importante di richiedenti asilo e di rifugiati, al fiorire di nuovi conflitti, senza dimenticare la minaccia, per tutti, del terrorismo internazionale. Siamo preoccupate per quanto sta capitando nel mondo e nel nostro paese, che vede acutizzarsi intollerabili fenomeni di xenofobia, razzismo e violenze sulle donne. Le nostre figlie sono la voce dell’oggi, il punto di vista attuale, la speranza per un futuro migliore. Come madri accettiamo il confronto e da loro impariamo. Un bel dialogo; due serate che hanno già registrato il tutto esaurito.

Lo spettacolo in scena questa sera nasce dai laboratori di Almateatro?

«All’inizio, nel 1993, Almateatro è stato uno spazio-laboratorio dove, attraverso il teatro, si mettevano in relazione realtà culturali diverse in continua evoluzione. Il laboratorio consentiva di sperimentare un avvicinamento alle tecniche teatrali di movimento e voce e un particolare studio della lingua italiana che si mescolava con le lingue d’origine. La ricchezza narrativa e la generosa trasmissione orale delle esperienze, i vissuti femminili che affrontavano le crisi politiche ed economiche del mondo, come la quotidiana arte di vivere, hanno permesso di creare i contenuti degli spettacoli messi in scena nell’arco di venti anni».

Questa sera in scena c’è una storia di integrazione?

«Memorie, evocazioni, narrazioni, storie personali: le ragazze, le nostre figlie, soprattutto, raccontano il loro rapporto con il paese di origine delle madri e la relazione che esiste con noi, in quanto madri e portatrici di un’altra cultura. Come madri poniamo alle nostre figlie la questione del paese d’origine mentre loro, nate in Italia, non avvertono questa necessità. Il loro paese è l’Italia: sono italiane. Le attrici di Almateatro, da sempre, raccontano con le loro pronunce imperfette memorie e sogni. Attraverso uno sguardo plurale cerchiamo di ridefinire la realtà. Lottiamo per un imprescindibile cambiamento culturale, essenziale per il presente e per le generazioni future, proprio per dare un senso positivo, seppur critico, a questo particolare momento storico».

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