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L'informazione televisiva al servizio del Vaticano

Paravati: «se l'informazione è concentrata su una sola cultura, anche religiosa, le minoranze diventano scarti di cui si sa poco». Giovedì un incontro sul tema, a Roma

Ogni anno la fondazione Critica Liberale redige un rapporto sulla presenza delle confessioni religiose nelle trasmissioni televisive e nei telegiornali. A febbraio, infatti, abbiamo parlato del V rapporto sulle confessioni religiose in tv e del VI rapporto sui telegiornali, che restituiscono l'immagine di una televisione dominata quasi esclusivamente dalla presenza cattolica. I dati dei rapporti sono raccolti dalla stessa società che si occupa dei monitoraggi per l'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in modo da avere risultati scientifici e affidabili; la ricerca è stata finanziata dall'Otto per mille della Tavola Valdese.

L'anno scorso la fondazione aveva presentato i dati alla Commissione di Vigilanza Radio Televisiva: «il presidente Fico si è scandalizzato molto per questi dati – dice Enzo Marzo, presidente di Critica Liberale – ma ad oggi non ha preso provvedimenti». La discussione è stata posta anche con le minoranze religiose per portare a un cambiamento della situazione.

All'incontro di giovedì 23 giugno, che si svolgerà presso la Federazione della stampa italiana, a Roma, saranno presenti Alberto Airola, senatore M5S, membro della Commissione di vigilanza Rai, Vittorio Emiliani, già membro del Cda della Rai-Tv, Carlo Freccero, membro del Cda della Rai-Tv, Vincenzo Vita, già membro della Commissione di vigilanza Rai e Claudio Paravati, direttore della rivista Confronti: «abbiamo invitato dei personaggi esperti della materia – continua Marzo – coloro che possono dare il loro importante punto di vista sul potere radiotelevisivo. Presenteremo anche un ricorso all'Agcom effettuato dalla European Federation for Freedom of Belief che si è basata sui nostri dati, che sono a disposizione di tutti». Il monitoraggio è effettuato 24h/24 su 12 canali televisivi: «speriamo che l'incontro porti degli effetti politici, perché da parte dell'opinione pubblica questi dati sono già percepiti: quando parliamo di un 98%, in alcuni casi 100%, di presenza cattolica nelle trasmissioni, il telespettatore non può non accorgersene. – dice Marzo – Le radici di questi privilegi, secondo noi, sono tutte nel Concordato».

«Il potere quasi assoluto della visibilità televisiva della chiesa cattolica passa in vari modi, anche nelle fiction, per esempio: e la pluralità è quasi inesistente – dice Claudio Paravati, direttore della rivista Confronti – ma questo è solo il sintomo della malattia più generale, ovvero la difficoltà di concepire una pluralità religiosa. Se l'informazione è concentrata solo su una cultura, anche religiosa, le minoranze diventano gli scarti di cui si sa poco. La pluralità si vede nell'impostazione di base».

Si pensi all'Islam, che durante l'ultimo anno non ha avuto spazio in tv, cosa che fa riflettere nel tempo in cui viviamo: «questo ha del drammatico – conclude Paravati – in Italia ci sono 1,6 milioni di persone di cultura islamica, una grande fetta della popolazione. Non hanno nessun tipo di spazio in televisione se non dopo i fatti tragici o a volte sono ospiti con percentuali ridicole. Questo fa si che non ci sia una conoscenza dell'altro e si continui a parlarne con slogan e luoghi comuni». Per le culture la soluzione è la stessa che per le religioni, dunque: «costruire una cultura delle minoranze, che genera una buona convivenza tra le culture differenti».

Immagine: via flickr.com, utente: flash.pro

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