Le città orfane del senso di comunità
20 giugno 2016
Si votano i sindaci ma sembra che si voti più che altro «contro» qualcosa
Lo sappiamo, ripensare al passato può essere insidioso. Può ingannare e confondere. E poi, quale passato ricordare? Come scegliere tra ciò che amiamo rammentare e ciò che vogliamo scordare? Oltretutto, spesso sono altri a veicolare il passato che ritorna: politici e mass-media spingono a rammentare soltanto certi episodi traendoli strumentalmente dalla nebbia del tempo che sta cancellando tutto il resto... Insomma, meglio ripensare al passato con prudenza e cautela, evitando melanconie o rimpianti.
Eppure certe volte vien la tentazione di «mitizzare» un periodo lontano. Per esempio, come non paragonare le recenti elezioni amministrative con quelle di vent’anni fa? Allora si usciva da un regime politico bloccato, sclerotizzato da partiti invecchiati, non di rado corrotto, e il poter scegliere direttamente i sindaci con una delega quasi diretta appariva una risposta di efficienza e di trasparenza. Molti provavano la sensazione (forse l’illusione) di poter finalmente incidere nella vita reale delle proprie comunità, fuori dalle contrattazioni delle burocrazie politiche, dibattendo in confronti aperti, concreti, poco ideologici sui progetti sociali, sulle opzioni urbanistiche, sul rapporto tra pubblico e privato. Qualcuno sperava addirittura che dalle città partisse una rigenerazione dell’intera vita nazionale con un «movimento dei sindaci» che, «marciando» pacificamente su Roma, ponesse le basi di una vera Seconda Repubblica... Io ricordo questo. O forse mi sto ingannando?
Sono passati due decenni e alcuni – impegnati in politica – dicono che esiste ancora quella energia. Ammettono che astensionismo e disaffezione sono in crescita ma sostengono che la tendenza sta invertendosi e che il confronto tra i candidati è stato vero e partecipato dai cittadini. Affermano che i programmi a confronto si sono ben contrapposti, che hanno rivelato visioni del mondo alternative, che si è sentita una partecipazione popolare ai problemi del territorio.
Confesso di non essermene accorto. A me è sembrato che la gran parte degli elettori abbia votato pensando poco alle città in cui vivono e molto contro, contro qualcuno, contro qualcosa, contro le difficoltà personali o di categoria. Ha votato per protesta. Io vivo a Milano, metropoli dal passeggio opulento in strade vitali (in centro) dove i soldi girano ancora (Expo e finanza li hanno drenati dal resto del Paese). Ma anche qui in tanti hanno votato non per la città ma contro il governo, contro un partito, contro una lobby, contro il «buonismo» o il «cattivismo»ı, contro l’Europa, contro l’euro. Insomma, contro.
Forse nei piccoli centri ci si confronta ancora sulle questioni concrete delle proprie comunità. Qui in città non mi sembra. Forse perché in tanti abbiamo perso il sentimento di appartenere a una comunità civica. Se una comunità è una collettività di persone legate tra di loro e che sentono di potere affrontare e cercare di risolvere insieme i loro grandi problemi (ci sono definizioni migliori, ovviamente) esiste ancora un senso comunitario nelle grandi città? Difficile dirlo. Ci si sente spesso nella stessa barca ma con la sensazione di essere impotenti perché il vero potere di decidere, la sovranità, è altrove. La democrazia sembra sempre più una liturgia, non una pratica. Per l’ordinaria amministrazione un candidato vale l’altro. Per le questioni importanti tutti appaiono invece o degli sconosciuti o dei fantocci mediatici scelti da élite che, supportate dai mezzi di comunicazione di massa, operano scelte «decisioniste» al termine di contrattazioni sotterranee. La maggior parte dei provvedimenti viene presa nei corridoi delle istituzioni romane o europee da misteriosi faccendieri e «illuminati» superburocrati e noi abbiamo una sola possibilità: adeguarci. Il potere si è trasferito ai mercati finanziari e alle banche la cui «salute» sembra l’unico valore determinante: puoi distruggere uno stato sociale abbattendo intere generazioni ma le banche non si toccano, loro devono essere protette (non i loro correntisti...).
In conclusione, ripensare al passato può ingannare. Evitiamo mitizzazioni. Ma non è del tutto inutile. Serve ad avere dei metri di paragoni, a riflettere su dove ci troviamo, a capire dove andare. E allora in questo caso forse possiamo dire che bisogna ritrovare un po’ delle speranze di venti anni fa, ricostruire lo spirito di comunità, aspirare a poter decidere sulle questioni importanti: le deleghe in bianco non funzionano.