Corridoi umanitari Pensando a Favour
08 giugno 2016
Rubrica «Essere chiesa insieme», a cura di Paolo Naso, andata in onda domenica 5 giugno durante il «Culto evangelico», la trasmissione di Radiouno a cura della Fcei
Favour ha nove mesi e il 25 maggio è sbarcata a Lampedusa mentre sua madre è morta annegata. Così come altre 700 persone che, secondo le Nazioni Unite, soltanto nella scorsa settimana, hanno perso la vita nel Mediterraneo. Per Medici senza frontiere la cifra sale a 900 vittime. Morti di immigrazione perché scappando da fame, guerre e persecuzioni, la loro unica possibilità di salvezza era affidarsi agli scafisti. «L’alternativa non è tra restare o partire – hanno spiegato alcuni sopravvissuti – ma tra morire o rischiare di morire. E noi preferiamo rischiare». Una frase drammatica che denuncia almeno due verità. La prima è che non c’è barriera o confine che possa fermare la fuga di persone che non hanno niente da perdere perché hanno già perso tutto. La seconda è che di fronte all’eccezionale crisi geopolitica che ha colpito gran parte del Medio Oriente, dell’Africa del Nord e di quella subsahariana, la risposta europea è stata la più semplice e ingenua: chiudere le frontiere di terra, scaricando il problema su quei paesi come l’Italia che possono essere raggiunti via mare con imbarcazioni di fortuna.
Ma le morti in mare non sono un tragico e ineluttabile destino. Da una parte, infatti, sono la conseguenza di una serie di fallimenti politici e militari della comunità internazionale che ha innescato reazioni a catena che oggi non riesce più a governare. Dall’altra, invece di rafforzare il diritto d’asilo e la protezione internazionale per profughi e vittime di guerra, l’Europa ha precluso ogni via legale d’accesso sul suo territorio. Né, sino a oggi, ha attuato alcun credibile piano di aiuti umanitari ai profughi.
Eppure, in questo muro, una piccola breccia si è aperta: i corridoi umanitari aperti grazie a un’azione congiunta della Federazione delle chiese evangeliche, della Tavola valdese e della Comunità di Sant’Egidio. Prima della fine di giugno saranno circa 300 le persone arrivate in legalità e sicurezza sulla base giuridica del dispositivo di «protezione umanitaria» previsto dal regolamento di Schengen in materia di visti.
Grazie all’azione politica e all’impegno delle chiese evangeliche e della Comunità di Sant’Egidio, oggi possiamo affermare che un’alternativa alla morte in mare esiste e si chiama «Corridoi umanitari».
Per ora i corridoi umanitari sono una «buona pratica» per sottrarre persone al traffico umano e al rischio della morte in mare. La nostra richiesta è che diventi una procedura adottata da tutti gli stati dell’Ue a sostegno delle politiche di cooperazione, di sviluppo e di tutela dei profughi e dei richiedenti asilo. Quella delle migrazioni globali non è una sfida semplice e non si risolve con un unico strumento, siano pure i corridoi umanitari. Però questa è una concreta possibilità, tanto più preziosa in assenza di altre sostenibili proposte. Per noi cristiani è il talento che Dio ci ha affidato. È Lui che ci chiama a farlo fruttare. Ma anche le bambine e i bambini che, come Favour, riescono sì ad arrivare in Italia ma al prezzo della vita della loro madre.