Parlare di lavoro e stranieri oltre la solidarietà
27 maggio 2016
Il 18 giugno a Torino si terranno gli Stati Generali per la giustizia sociale e la libertà, dedicati al lavoro dei migranti ma orientati alla difesa di un diritto al lavoro che riguarda anche gli italiani
Nella giornata di ieri, giovedì 26 maggio, i presidenti dei paesi membri del G7 riuniti a Ise-Shima, in Giappone, hanno presentato il documento conclusivo del vertice, dedicato alla crescita economica. Tra i temi toccati anche quello delle migrazioni: nelle conclusioni, infatti, si legge che «bisogna aumentare l’assistenza globale per sostenere le esigenze dei rifugiati, delle comunità che li ospitano, e cooperare con i nostri partner, specialmente quelli in Africa, in Medio Oriente e nei paesi confinanti di origine e transito». Si tratta di una dichiarazione d’intenti che accoglie le richieste dell’Unione europea, che attraverso il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha chiesto maggior collaborazione a livello mondiale in una sfida, quella dell’accoglienza, che riguarda certamente l’Europa sul piano territoriale, ma che è parte di una dinamica molto più ampia e che abbraccia ambiti molto differenti.
Tuttavia, anche se il G7 ha riconosciuto i movimenti di migranti e rifugiati come una sfida globale che richiede una soluzione di ampio respiro, rimane di grande rilevanza la dimensione economica delle migrazioni, spesso osteggiata dai governi, che attribuiscono ai cosiddetti “migranti economici” un valore inferiore rispetto ai rifugiati.
Inoltre, quando si parla di migrazioni, è facile dimenticarsi di chi la traversata del Mediterraneo l’ha già compiuta e si ritrova inserito in un sistema che non evita lo sfruttamento e le disparità basate – anche – sulla “fortuna” o “sfortuna” di essere nato in un luogo oppure in altro.
Secondo la Cispm Italia, ramo italiano della Coalizione internazionale sans-papiers e migranti, è necessario ripensare al modello di immigrazione in modo da superare questa dinamica, per cui superata la prima accoglienza le persone vengono lasciate al loro destino. Per farlo è necessario mettere al centro il diritto al lavoro. Proprio da questa riflessione si è partiti per organizzare gli Stati Generali per la giustizia sociale e la libertà, che si apriranno a Torino il prossimo 18 giugno.
«Sul tema migranti e rifugiati – recita il comunicato con cui si annuncia l’evento – l’Unione Europea e i suoi stati membri hanno creato in modo sistematico, attraverso l’approvazione di direttive europee e leggi nazionali, una categoria speciale di cittadini, sottoposti nel corso degli ultimi trent’anni a meccanismi di negazione e privazione di diritti».
L’assunto principale che si intende mettere in discussione con gli Stati Generali è quello per cui i migranti, nella grande maggioranza dei casi, sono destinati – quasi per natura, si dice ancora nel comunicato – ai lavori dequalificati e di bassa manovalanza, come se il sistema non prevedesse altri spazi. Tuttavia, gli ultimi anni, caratterizzati da una generale perdita di posti di lavoro e da migrazioni, anche interne, crescenti, hanno portato anche un numero sempre più alto di cittadini europei a vivere una povertà e una marginalità che già toccava migranti e rifugiati, e anche per questo la Cispm si propone di riflettere su una dimensione di classe, più ancora che di provenienza, che deve coinvolgere i lavoratori a basso reddito di qualsiasi origine.
Oltre a questo, risulta ancora una volta centrale lo spazio dedicato al lavoro dei migranti, che si ritrovano in una condizione di precariato superiore a quella di chi, anche senza un lavoro, ha diritto a rimanere su un territorio: i cittadini stranieri in Italia sono sottoposti allo stretto legame tra il lavoro e il permesso di soggiorno, sancito dalla legge Bossi–Fini sull’immigrazione.
Con questi presupposti, l’appuntamento di giugno con gli Stati Generali sarà un’occasione preziosa per mettere insieme varie parti di un quadro che spesso viene invece visto per frammenti, senza uno sguardo che vada oltre quello della solidarietà, necessaria ma insufficiente.