L’ecumenismo è donna
19 maggio 2016
Il riconoscimento del ministero femminile non può che essere d’aiuto alla relazione fra le chiese. Riproponiamo l’editoriale uscito sul bollettino settimanale NEV-notizie evangeliche a firma di Luca Baratto
Per il movimento ecumenico l’inaspettata apertura di papa Francesco alle donne diacono è una buona notizia perché un maggiore coinvolgimento delle donne nelle chiese favorisce l’ecumenismo. E’ un dato di fatto, fino ad oggi misconosciuto. Fino ad oggi un qualsiasi passo in avanti in questo senso è sempre stato bollato come un ulteriore ostacolo all’avvicinamento tra chiese. In realtà l’analisi, sposata acriticamente dall’informazione religiosa nostrana, era che tutto ciò che non si poteva uniformare al modello cattolico romano fosse un impedimento ecumenico grave. Siccome nella chiesa cattolica il sacerdozio è precluso alle donne, ogni decisione difforme proveniente da altre chiese è stata descritta come un motivo di ulteriore divisione. La realtà, tuttavia, è sempre stata diversa. Consideriamo il caso delle donne vescovo nella Chiesa d’Inghilterra. Tra le motivazioni a favore portate nel dibattito sinodale comparivano esplicitamente i passi avanti ecumenici che l’episcopato femminile avrebbe portato. Non solo il pieno riconoscimento dei ministeri con le chiese luterane episcopali come quelle scandinave, ma soprattutto un decisivo passo in avanti nei rapporti con la Chiesa metodista di Gran Bretagna. Anglicani e metodisti inglesi hanno da tempo sottoscritto un patto (Covenant) che impegna le due chiese a ricercare una sempre maggiore forma di cooperazione e di unione. Una cooperazione e un’unione a cui l’impossibilità delle donne di accedere a tutti i ministeri della chiesa aveva di fatto impedito di progredire: «per molti metodisti – recitava il rapporto istruttorio della Camera dei vescovi della Chiesa d’Inghilterra – il mancato riconoscimento del pieno ministero femminile costituirebbe un grave ostacolo teologico all’unità visibile».
E’ poi un fatto che le chiese in cui le donne hanno pieno accesso tanto ai ministeri quanto alle strutture decisionali, sono più aperte al dialogo. Un colpo d’occhio di barbe, baffi e uomini di mezza età sovrappeso attorno a un tavolo ecumenico fa istintivamente temere l’impossibilità di raggiungere un accordo su qualsiasi argomento. Le chiese evangeliche che non hanno tra le loro priorità – o che, in alcuni casi, proprio non praticano – l’ecumenismo sono spesso anche quelle che non ammettono donne pastore. Non credo sia un caso. Mentre sul fronte ortodosso, qualche anno fa, avevano fatto scalpore le dichiarazioni dell'arcivescovo Hilarion, “ministro degli esteri” della Chiesa ortodossa russa, che aveva minacciato la fine delle relazioni con la Chiesa evangelica in Germania (Ekd) a causa dell'elezione a presidente dei protestanti tedeschi di una donna, la vescova Margot Kässmann. Quella stessa chiesa si è distinta in questa apertura di secolo per la rottura di relazioni con la Chiesa episcopale americana (2003), la Chiesa di Svezia (2005), la Chiesa protestante unita di Francia e la Chiesa di Scozia (entrambe 2015), la sospensione della partecipazione alla Conferenza delle chiese europee (2008). Insomma, l’ecumenismo delle porte sbattute.
Infine, vorrei aggiungere due altri elementi, che riguardano l’Italia, a favore della tesi che l’apertura ai ministeri femminili è un passo avanti per l’ecumenismo. Il più importante documento ecumenico sottoscritto dalle chiese cristiane italiane nell’ultimo decennio è l’“Appello ecumenico contro la violenza sulle donne”. A sottoscriverlo il 9 marzo del 2015, otto rappresentanti delle chiese cattolica, protestanti e ortodosse in Italia. L’iniziativa era partita da teologhe e studiose evangeliche che hanno individuato nella responsabilità educativa delle chiese uno strumento essenziale nella lotta alla violenza psicologica e fisica subita dalle donne e testimoniata dall’emergenza nazionale dei femminicidi. Otto chiese diverse portate a un tavolo comune dall’iniziativa delle donne. Non è un caso nemmeno questo. Come non è un caso che nel nostro paese, siano le teologhe cattoliche e protestanti, e non i loro omologhi uomini, ad avere una lunga e arricchente consuetudine al lavoro comune. Nel corso degli anni il Coordinamento teologhe italiane si è infatti dimostrato un importante luogo di condivisione, di frequentazione reciproca, di pensiero discusso e formulato insieme: un luogo ecumenico di grande importanza.
Staremo a vedere se davvero un giorno la chiesa cattolica romana avrà delle donne diacono. Il cammino è ancora lungo e accidentato; tuttavia tirarsi indietro significherebbe fare un colpevole e grave passo indietro nel cammino ecumenico.