Strumenti nelle mani di Dio
02 maggio 2016
Un giorno una parola – commento a Isaia 53, 12
Egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli
Isaia 53, 12
Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché diventassimo giustizia di Dio in lui
II Corinzi 5, 21
Non sappiamo di chi parli il profeta, sicuramente non di Gesù Cristo. Si tratta comunque di una persona che si è fatta mettere nei guai dal male compiuto da altri. Possiamo tradurre così l’espressione «portare i peccati di molti». Normalmente ognuno di noi è convinto di avere già abbastanza da portare con la propria vita. Qui invece si parla di una persona che si è messa sulla groppa i pesi di altri, di molti, con una generosità inaudita.
Eppure, non sembra il solito capro espiatorio su cui vengono caricati i mali e le colpe del popolo, affinché li porti via nel deserto e muoia insieme ad essi. Per bocca del profeta, Dio chiama questa persona «il mio servo». Non è la vittima che viene sacrificata, ma uno strumento utile nelle mani del Signore per la salvezza del popolo. Di fatto, nonostante il peso del peccato dei molti che deve portare, intercede per i colpevoli. Non si mette soltanto sulle proprie spalle quello che separa i molti dal Signore, ma interviene ancora, affinché Dio guarisca il rapporto distrutto dei molti con lui.
È ovvio che gli autori della Scrittura Apostolica e i teologi della Chiesa antica abbiano visto nel servo del Signore di Isaia, Gesù Cristo. Il versetto, tuttavia, parla oggi direttamente a noi. Come credenti siamo costretti a portare i peccati di molti, i molti mali che affliggono l’umanità, perché ne siamo parte anche noi. La fede non ci libera da questi pesi. E se non fosse soltanto un peso, ma la solidarietà con i peccatori che Dio ci chiede? Forse il peso del male non ci schiaccia, se ci ricordiamo che noi possiamo intercedere per i colpevoli, possiamo chiedere aiuto e intervento al nostro Dio.