Comunicazione religiosa: una questione di cuore o di ragione?
20 aprile 2016
Incontro della Cepple a Torre Pellice per discutere sulle modalità della comunicazione nel mondo di oggi, ma anche per consolidare la collaborazione a livello europeo
Per cercare di rispondere a questa impegnativa domanda, una ventina di operatori dei media protestanti europei si sono ritrovati giovedì e venerdì scorsi alla Foresteria valdese di Torre Pellice, in due intense mezze giornate completate da una serata aperta al pubblico. I partecipanti, pastori e laici, con un’età piuttosto variegata, rappresentavano tutti i paesi membri della Cepple (Conferenza delle Chiese protestanti dei paesi latini d’Europa): Belgio, Francia, Svizzera, Italia, Spagna e Portogallo.
L’incontro si poneva come prosecuzione del dialogo iniziato lo scorso anno a Losanna, e fra i suoi primi obiettivi c’era quello di creare o consolidare i contatti tra i partecipanti (alcuni già presenti al Colloque di Losanna), nell’ottica della creazione di un sistema della comunicazione protestante a livello europeo.
Una sfida impegnativa, considerate le difficoltà di rendere integrata e sinergica la collaborazione fra i mezzi di comunicazione già nei singoli paesi. Ma è una sfida che non si può non cogliere, ci si è detti, nel mondo di oggi. Gli strumenti lo permettono (e lo impongono), il “pubblico” lo esige, gli stessi operatori necessitano di avere notizie dirette, di poter ottimizzare il lavoro.
La seconda sfida emersa fortemente è l’esigenza di stabilire una connessione più stretta fra mondo del giornalismo e mondo delle chiese, di migliorare la conoscenza del fatto religioso, che la crescente secolarizzazione certo non aiuta a sviluppare.
Gli “addetti ai lavori”, rappresentanti un ampio spettro di mezzi di informazione (carta stampata, Internet, radio, tv, agenzie stampa…) con modalità comunicative molto diverse, hanno infatti scoperto di essere accomunati da problemi simili, pur nella diversità delle chiese di riferimento.
Innanzitutto, il fatto di operare in contesti in cui normalmente si fa l’equazione cristianesimo = cattolicesimo. Questo determina la poca visibilità e la difficoltà di farsi (ri)conoscere, ma anche il fatto che spesso il giornalismo generalista parla in modo scorretto e superficiale del mondo religioso. Tale difficoltà di narrare giornalisticamente il mondo protestante nasce tuttavia anche (lo si è dovuto ammettere) dalla nostra eterogeneità, che è difficile restituire in un’immagine coerente, “spendibile” in termini di comunicazione. Oltretutto, c’è la questione del linguaggio: quale terminologia usare per farsi comprendere all’esterno? È inevitabile una certa banalizzazione, quando i fondamenti stessi della nostra realtà non sono intesi?
Venendo al focus dell’incontro, la dicotomia cuore-ragione, un ulteriore elemento di difficoltà nasce dal fatto che oggi il mondo della comunicazione e dell’informazione, anche in fatto di religioni, cerca quasi esclusivamente ciò che è conflittuale o “spettacolare”: bombardato da informazioni, pressato dall’esigenza (condizionata dal “mercato” della notizia) di dire tutto e subito perché le notizie invecchiano sempre più in fretta, è impossibilitato ad approfondire.
Come ci collochiamo noi, media protestanti, in questa logica? La subiamo o riusciamo a controllarla? Di certo le realtà delle nostre chiese sono in genere poco “spettacolari”, quindi poco trasformabili in notizia secondo i criteri dominanti.
La sfida sarà quindi trovare narrazioni adeguate, utilizzando la grande varietà di mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione. Su questo aspetto si sono concentrate alcune delle relazioni, ma tutti hanno convenuto sull’importanza dei nuovi media e sul fatto che ci danno (potenzialmente) possibilità di farci vedere e conoscere, impensabili fino a pochi anni fa. Media che sfruttano molto l’emotività, il cuore dunque, ma che dobbiamo imparare a usare con la ragione.
Alla fine, possiamo dire che la risposta alla domanda di partenza è che ci vogliono entrambe, ragione e passione. La ragione è tale quando è animata dal cuore e dalla passione, come ha sintetizzato Marian Knetemann, della Chiesa protestante unita del Belgio.
E lo si è visto anche dal modo di vivere questo Colloque: il dibattito è proseguito in modo informale nelle pause e a tavola, segno di un interesse concreto per il tema e dell’esigenza di un confronto su modi di operare, problemi, soluzioni e idee – in definitiva, segno della passione con cui si vive questo mestiere di “comunicatori”.
È emerso il bisogno di vedersi “faccia a faccia”, di sciogliere le sigle e i loghi di cui ognuno era portatore, rendere concrete e umane entità virtuali come i mezzi di comunicazione, collegandole a delle facce, dei modi di porsi, delle opinioni, dei vissuti.
Questo è stato uno degli aspetti più importanti dell’incontro, al di là del suo tema, che ha permesso a ognuno anche di farsi un’idea più precisa dei media con cui collabora o dai quali si traggono informazioni e articoli (nel nostro caso, ad esempio Régards Protestants, Médiaspro, Protestinfo…), conoscendoli da vicino attraverso i loro responsabili o redattori.
Per tutti è stato poi molto stimolante e positivo “scoprire” la realtà delle chiese protestanti portoghesi, poco conosciuta anche a chi si occupa di comunicazione protestante, e che non erano presenti lo scorso anno in Svizzera. Una realtà di chiese piccole, anglicane, presbiteriane, metodiste, tutte presenti in questo Colloque, riunite nel Copic (Consiglio portoghese delle chiese cristiane). A loro è passato il testimone per il prossimo incontro, già segnato nell’agenda del prossimo anno, per proseguire nel percorso e aggiungere altri tasselli.