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Ragazze. Minori. Straniere. Sole.

La retta del Ministero dell'Interno per lo Sprar è legittimata per un servizio in cui gli ospiti sono parzialmente autonomi. Ma per le ragazze minori non basta.

Nel panorama dell'immigrazione nel nostro paese un tema a cui viene data ancora troppa poca attenzione è quello dei minori stranieri non accompagnati. Sono 12 mila i bambini soli arrivati nel 2015 e secondo Save The Children più di 2300 dall'inizio del 2016. Molti di loro sono accolti nei centri di seconda accoglienza, come la Casa delle Culture di Mediterranean Hope a Scicli o il centro Nautilus della diaconia Valdese a Firenze. Spesso le risorse economiche e umane per seguire i minori sono molte di più di quelle preventivate, e queste strutture soffrono crisi finanziarie, come nel caso del progetto Emergenze Sostenibili a Milano che accoglie il più alto numero di stranieri non accompagnati in città.

Realtà ancora più particolare è quella dell'accoglienza delle ragazze minori, che spesso sono state vittime di abusi e violenze, o sono finite nel giro della tratta criminale. Ne parliamo con Pietro Vené, responsabile dell’area minori per la Diaconia Valdese Fiorentina e del progetto Nautilus.

Quale fotografia per i minori stranieri soli a Firenze?

«Noi abbiamo tre strutture, una femminile Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che accoglie 6 ragazze minori, e un'altra per 12 minori stranieri non accompagnati che arrivano direttamente al comune di Firenze che si fa carico di accoglierle. Le ragazze dello Sprar sono sei di 50 affidate dal Ministero dell'Interno al comune di Firenze e insieme a una cordata di altre cooperative e enti, li abbiamo coperto tutti. Nel 2015 i minori stranieri stranieri non accompagnati sono stati circa 12 mila, dei quali per circa 2000 non abbiamo più notizie. Non risultano più reperibili. I servizi di accoglienza sono di almeno due livelli, i centri di prima e seconda accoglienza: noi gestiamo strutture di seconda, ospitando minori con una fascia d'età tra i 16 e i 18 anni. Arrivati al compimento del 18esimo anno iniziano i problemi perché o si trovano soluzioni di integrazione, o qualcuno li prende in affidamento dopo la maggiore età, altrimenti il lavoro e la possibilità di essere autonomi restano i problemi principali».

Come funziona la realtà femminile per i minori?

«Anche noi, da febbraio, ci siamo trovati per la prima volta dentro un'esperienza di questo tipo, anche nel bando dello Sprar era caldeggiata la possibilità di poter accogliere almeno un piccolo numero di ragazze. Il Nautilus è stato ritenuto idoneo e ci siamo trovati ad affrontare l'ambito femminile con grandi difficoltà, perché i progetti per minori stranieri prevedono un'alta capacità di autonomia nella loro mission: abbiamo rilevato che specialmente per le ragazze la situazione è molto diversa. Per la loro provenienza e per la loro storia così pesante, la risposta non può essere legata solo a interventi che riguardano l'autonomia. Questo non basta. Ci vanno interventi che riguardino la psiche, interventi che rompano il circuito della tratta, interventi di tipo culturale e tante risorse: professionali, umane ed economiche».

Quali sono i rischi per queste ragazze?

«Entrare nel circuito della tratta o ella criminalità. Le ragazze che abbiamo noi oggi sono nigeriane, alcune sono state vittime di tratta e sono legate a organizzazioni alle quali devono rendere dei soldi. Se non riusciamo a fare un vero lavoro di identità e di acquisizione di una propria personalità e autonomia, rischiano di entrare in giri legati alla prostituzione o alla criminalità per il dovere che sentono di rendere dei soldi a chi ha permesso loro di arrivare in Italia».

E su questo livello come si agisce?

«Gli attori da mettere in campo sono sicuramente le forze dell'ordine ma è solo la punta dell'iceberg. Abbiamo sperimentato la possibilità di creare un rapporto di fiducia autentico con le ragazze fa la differenza. Sono talmente legate a storie così difficili, così maltrattanti e così violente che il loro obiettivo è la reperibilità dei soldi. Occorre creare un rapporto di fiducia fra operatori altamente qualificati e queste ragazze, ma per farlo ci vanno risorse economiche e tempo. Non bastano ore sporadiche durante il giorno ma serve affiancarle effettivamente. Imparano l'italiano, imparano un'altra lingua, vengono fatte attività sul taglio di capelli, sul cucito, ma senza la possibilità di stare in casa con loro, questo rapporto di fiducia non è possibile. In questo modo la sfida è difficile, ma si può».

Esiste il problema dei fondi?

«Alcuni degli interventi che riguardano le ragazze non sono adeguati: esistono interventi sulle vittime di tratta, per esempio, ma sui minori vittime di tratta ce ne sono di meno. La retta che il Ministero dell'Interno dà per lo Sprar è legittimata per un servizio in cui gli ospiti sono parzialmente autonomi. Laddove si presentano situazioni come la nostra, però, è assolutamente insufficiente. Il comune di Firenze ci sta dando una mano, così come la Chiesa valdese. Ma se la questione non diventa sistema, si perde due volte: perché le abbiamo accolte, le teniamo senza il giusto apporto, e poi le perdiamo con un danno per tutti. Abbiamo fatto richiesta all'Otto per mille per dei progetti ad hoc, con il comune di Firenze abbiamo stilato un progetto che presenteremo al Ministero dell'Interno chiedendo il loro contributo per interventi di neuropsichiatria, di etnopsichiatria, di psicologia, eccetera. Oppure stiamo cercando di reperire risorse con istituti bancari. Noi operatori siamo sempre pronti a partire».