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Perché il referendum va difeso, oggi ancora di più

Strumento essenziale di partecipazione al processo democratico, va migliorato non abolito

Ci sono voluti quasi 30 anni, da quel 2 giugno 1946, perché l'articolo 75 della Costituzione italiana, quello che istituisce e norma i referendum, trovasse finalmente senso di esistere. Fino ad allora, correva l'anno 1974 e il voto riguardava l'abolizione della legge che aveva introdotto il divorzio, era stato ampiamente boicottato in egual misura dai grandi blocchi, democratico cristiano e comunista-socialista, spaventati dall'ipotetica portata rivoluzionaria insita nel concedere al popolo la possibilità di dire la propria su una legge approvata dagli onorevoli. Che ricordiamo, dal popolo sono eletti e a questo soltanto dovrebbero rispondere.

Per questo negli anni questo baluardo della democrazia è stato prima accantonato, poi combattuto, oltraggiato, sminuito, depotenziato. Sempre comunque temuto.

Anche perché nel tempo il referendum ha chiamato gli italiani a dare un'opinione su argomenti cardine, altroché su questioni marginali: dal divorzio all'aborto, dalla caccia al nucleare, dai finanziamenti pubblici ai partiti alla fecondazione eterologa, dall'acqua pubblica ai sistemi di ripartizione elettorale dei voti.

Come ci stanno spiegando schiere di analisti in questi giorni, i nostri padri costituenti scelsero di inserire un articolo ad hoc sul referendum, inteso come sistema eccezionale di bilanciamento del potere legislativo del Parlamento. A figurare plasticamente l'eccezionalità della sua convocazione è l'elevato numero di firme, 500 mila, necessarie per poterlo indire e la necessità di un'ampia partecipazione garantita dal quorum per poterne vedere validati i risultati.

Intanto sarebbe meglio usare il passato perché la neo riforma costituzionale, che proprio un referendum ci dirà se gradita o meno agli italiani, prevede l'innalzamento a 800 mila firme da raccogliere in tre mesi per poter indire un referendum: suona come un funerale data la bizantina procedura di reperimento firme, mentre in molti parti del mondo queste si raccolgono già su piattaforme on line, senza bisogno di procedure incredibilmente lente. Di nuovo l'accanimento mostrato dalla classe dirigente verso il referendum dovrebbe suonare come campanello d'allarme.

C'è però molto di più in gioco: la riforma del Senato fa sì che questo sia in futuro formato da meno elementi, 100, ma nominati, e non più eletti dal popolo. Che perde quindi un ennesimo momento democratico, una delle poche occasioni rimaste per premiare o punire con il voto l'operato dei propri rappresentanti. La pericolosa deriva centralista che ne deriva, mimetizzata dalla necessità di snellire le procedure, superando il bicameralismo perfetto, quello sì frutto della volontà di bilanciare al massimo le possibili derive leaderistiche dei vari premier, trova ulteriore conferma appunto nei paletti inseriti per poter indire futuri quesiti referendari. Sempre meno partecipazione popolare, nella scelta dei propri rappresentanti e nella scelta se approvare o meno norme decisive per la crescita democratica di un paese.

Il referendum rimane un baluardo contro questa deriva: invece che abolito andrebbe modernizzato, snellito. I suoi risultati andrebbero rispettati e non schiacciati come troppe volte accaduto – ad esempio col finanziamento ai partiti o l'acqua pubblica, in cui si è ignorato di fatto gli esiti delle votazioni-. Fare in modo invece che la popolazione partecipi sempre meno alle scelte democratiche ha come conseguenza quasi inevitabile che questa sia portata a pensare che la democrazia rappresentativa non serva più a nulla, innescando una deriva già ampiamente in atto, fatta di disinnamoramento nei confronti della vita sociale e di astensionismo su percentuali inimmaginabili solo 20 anni fa. La stanza dei bottoni diventa un mondo per pochi iniziati, mentre il popolino rimane fuori dalle mura a guardare il cielo per capire se piove o c'è il sole.

Il referendum rimane uno degli ultimi formidabili strumenti di democrazia. Per questo va difeso migliorandolo perché chiama ad una presa di responsabilità che proprio al mondo protestante dovrebbe suonare particolarmente cara.

Foto: Di Unknow - http://casalserugoedintorni.it/2_giugno_1946_monarchia_o_repubblica, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46636957