Approvata la legge veneta contro i nuovi luoghi di culto
08 aprile 2016
Definita anti moschee, penalizza in realtà tutte le confessioni in espansione
Questa volta nemmeno gli appelli delle gerarchie cattoliche, che pur in quelle terre godono di indubbia considerazione, hanno scalfito la ferrea volontà dei legislatori veneti, coriacei nel condurre in porto una norma volta a limitare l’edificazione di nuovi luoghi di culto sul territorio che fu della Serenissima. Domenica scorsa dalle colonne del giornale diocesano “Gente veneta” il patriarca di Venezia Francesco Margaglia aveva forzato il tradizionale riserbo pubblicando un articolo che con toni chiari bocciava senza appello la legge perché «L’esercizio, anche pubblico, della fede è valore civile ed ecclesiale che permette a tutti di esprimersi rispettando le altrui convinzioni». Margaglia, che poco più di un anno fa è stato il primo patriarca di Venezia a predicare nella chiesa valdese e metodista della città dei due leoni, non nasconde le difficoltà insite in una società che si trasforma in fretta, ma sono altri e ben più alti i fini ultimi: «il contesto attuale è complesso e frammentato e, per questo, richiede molte attenzioni. Si esigano pure le giuste forme di tutela e di garanzia, si richieda un forte senso di responsabilità e di rispetto da parte di tutti, anche un senso più vivo della legalità – chiarisce – ma non si retroceda dal principio irrinunciabile della libertà religiosa. La libertà religiosa, rispettosa della coscienza altrui e amante delle buone regole del vivere civile, deve oggi più che mai essere potenziata. Non restringiamone i confini». Nulla, vox clamantis in deserto.
Figuriamoci se potevano godere di maggior fortuna gli appelli e i pareri di altre confessioni, che pure sono state ascoltate il 12 gennaio scorso nel corso di un audizione in consiglio regionale cui hanno partecipato rappresentanti del mondo protestante, musulmano e sikh.
Martedì 5 aprile l’assemblea regionale ha quindi varato ad ampia maggioranza la legge, che sul modello di quanto già proposto dai colleghi lombardi, pone vincoli urbanistici e linguistici per poter ottenere il semaforo verde e edificare quindi nuovi luoghi di culto. La parola moschea non compare mai nel testo ma è chiaro che questo è l’obiettivo dei legislatori di Lega Nord, Forza Italia e Alleanza Nazionale che l’hanno approvato. Tutto ciò incuranti della recentissima sentenza del 24 gennaio scorso della Corte costituzionale che ha bocciato vari aspetti della norma lombarda, che aveva ravvisato un palese tentativo di violare il diritto di professare il proprio credo: «Non è consentito al legislatore regionale, all'interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione, ad esempio prevedendo condizioni differenziate per l'accesso al riparto dei luoghi di culto».
Nel merito la nuova legge prevede che nuovi luoghi di culto possano sorgere solo in aree F (infrastrutture e impianti di interesse pubblico, nella maggior parte dei Comuni presenti in periferia), purché dispongano di strade, parcheggi e opere di urbanizzazione adeguate («con oneri a carico dei richiedenti»), previa convenzione stipulata col Comune. Aree periferiche e opere connesse di appoggio a carico dei proponenti: aprire una chiesa, un tempio o una moschea rischia in questo modo di costare quanto un centro commerciale, salvo che non si tratti in questo caso di attività commerciali.
La legge non si applica agli edifici esistenti , anche qualora vogliano ampliarsi fino al 30%, sempre che siano immobili destinati al culto, abitazioni dei ministri del culto o del personale di servizio: ma quali sono nel nostro paese gli edifici di culto sicuramente esistenti? Le chiese cattoliche ovviamente. Nel testo vi è poi indicazione che per le attività «non strettamente connesse alle pratiche rituali del culto» sia d’obbligo l’uso della lingua italiana, e in ultima battuta si concede ai cittadini lo strumento referendario per dire eventualmente la propria.
Alessandra Trotta, diacona e presidente dell’Opera per le chiese metodiste in Italia si era espressa sulla nascitura norma in questi termini: «L’evidenza e gravità delle restrizioni rivelano uno spirito di pregiudiziale disfavore nei confronti delle comunità di fede diverse da quella della maggioranza (quelle islamiche o quelle, cristiane o di altre religioni, composte da immigrati), le cui attività vengono considerate sotto il profilo della presunta pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico, la morale comune e persino la salute; dunque da limitare, anche ponendo ostacoli praticamente insuperabili al soddisfacimento di un bisogno profondo, quello di disporre di luoghi dignitosi per riunirsi. Se davvero l’obiettivo politico (come dichiarato) è spingere queste comunità all’integrazione rispettosa della “nostra cultura” e dei “nostri principi” di convivenza civile, il risultato è opposto: una marginalizzazione delle comunità di fede, spinte a chiudersi il più lontano possibile dai luoghi della vita comunitaria, del confronto, dell’integrazione o costrette a continuare ad arrangiarsi con soluzioni inadeguate, sempre esposte al rischio di interventi d’autorità».
Come sempre quando si spara nel mucchio il rischio è di fare vittime collaterali rispetto ai propri disegni iniziali. E se l’obiettivo del legislatore era in questo caso, assurdamente, il mondo islamico, a farne le spese sono in realtà tutte quelle confessioni che stanno traendo nuova linfa anche grazie ai contributi dei fedeli provenienti dai paesi lontani. Solo poco tempo abbiamo raccontato le vicende della chiesa battista di Treviso in continua espansione in questi anni grazie all’apporto di tanti fedeli stranieri, africani e sudamericani, tanto che si è reso necessario aprire nuovi luoghi di culto anche a Padova e in altre realtà. Nota significativa inoltre, dal gennaio di quest’anno per la prima volta è un pastore italiano a predicare nella chiesa battista di Treviso. Ecco servita una perfetta storia di integrazione riuscita attraverso il dialogo, il coinvolgimento, il confronto, ideali troppo spesso dimenticati. Ora per tutte queste realtà, già spesso obbligate da mancanza di fondi o di contatti giusti a riunirsi in scantinati, garage, sottoscala, sembra diventare utopia la possibilità di godere di spazi comuni di preghiera e riflessione. Minando alla base la speranza di una sincera integrazione.