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Il trono della grazia

 Un giorno una parola – commento a Ebrei 4, 16

È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo
Salmo 118, 8

Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno
Ebrei 4, 16

L’immagine di Dio, re dell’universo, seduto su un trono, risente il retaggio di un linguaggio metaforico, usato nell’Antico Testamento, soprattutto nei testi di matrice apocalittica. Andando oltre la metafora scorgiamo l’invito a coltivare una piena, profonda fiducia in Dio, nella fede che è un Dio di misericordia.

La fiducia che siamo invitati a riporre scaturisce dal fatto che sul trono non è seduto un arcigno giudice ma colui che come un padre amoroso è disposto alla misericordia e al perdono. Se siamo in Cristo, Dio si rapporta con noi sulla base della sua grazia. La grazia è il favore di Dio nei nostri confronti che riceviamo, immeritato, nell’accogliere il sacrificio di Cristo.

Nel versetto precedente, l’autore dell’epistola ha argomentato che Gesù è stato esente dal peccato, la qual cosa lo pone in empatia con la nostra condizione umana. Quest’affinità rafforza la nostra fiducia nell’avvicinarci a Dio, ora che il sommo sacerdote Gesù è presso il suo trono che – in virtù della missione salvifica da lui compiuta – è diventato il «trono della grazia». L’invito ad accostarci al Signore e al suo trono di grazia è un prezioso incoraggiamento per noi credenti che viviamo in un mondo cinico dove alligna odio, egoismo, violenza. Presso quel trono, dunque, otteniamo misericordia e soccorso al momento opportuno. Non viene precisato quale sia tale momento, ma possiamo intuirlo. Quando siamo in crisi, quando siamo feriti, quando il cielo sembra una cappa plumbea su di noi, allora è senz’altro il momento opportuno per rivolgerci al trono celeste, accostarci al nostro buon Dio, per ricevere il suo prezioso soccorso.

Images ©iStockphoto.com/Marchcattle