Spotlight: il riflettore responsabile e compassionevole
29 febbraio 2016
L’Oscar per il miglior film alla storia sugli abusi sessuali nella chiesa cattolica
«Questo film ha dato voce ai sopravvissuti e quest’Oscar amplifica quella voce, che speriamo diventi un coro per arrivare a risuonare fino al Vaticano. Papa Francesco, è il momento di proteggere i bambini e ristabilire la fede», ha detto Michael Sugar, uno dei quattro produttori di Spotlight, il film vincitore dell’Oscar quale miglior film.
Spotlight è un film ben fatto, ben scritto, recitato con umiltà e misura da un grande cast. Racconta la storia della squadra investigativa del Boston Globe, il principale quotidiano della città del Maine, e di come all’inizio del 2002 ha rivelato un vero e proprio “sistema” di abusi sessuali su minori in atto nell’arcidiocesi cattolica, con la complicità del potente cardinale Bernard Law. Si parla di centinaia di abusi sessuali, con il coinvolgimento di un’ottantina di preti, che una volta scoperti venivano semplicemente trasferiti ad altra parrocchia, dove avrebbero poi continuato a predare su ragazzini e ragazzine.
Tra i vari pregi del film c’è il fatto che l’abuso non viene mai messo in scena. C’è solo un momento in cui la violenza è descritta nei minimi particolari, senza giri di parole o eufemismi: è una scena funzionale a dire che il reportage fu completo e dettagliato. Spotlight non vuole tanto mostrare scene di violenza, quanto piuttosto raccontare come un ambiente apparentemente prospero e sano possa rendersi complice di crimini orrendi. Si deve poter rendere giustizia alla verità senza mostrare l’immagine della persona che ha subito violenza.
Spotlight (“riflettore”) è il nome della squadra investigativa del giornale. Peccato che in Italia il film sia distribuito col nome Il caso Spotlight: forse perché, da questa parte dell’oceano, il fatto che un giornale abbia una squadra investigativa indipendente da direttore e proprietà del giornale appare un “caso”!
Infatti, «Ci vuole un intero villaggio per fare crescere un bambino. E ci vuole un intero villaggio per abusare dello stesso bambino». Con questa frase — che è valsa da sola l’Oscar alla miglior sceneggiatura originale — si comprende la linea degli autori. Non si tratta di un film che in maniera semplice e semplicistica addossa tutte le colpe alla chiesa cattolica — che pure porterà la macchia della copertura degli abusi sessuali nei secoli — ma è un film che cerca di risvegliare in ognuno e ognuna la propria fetta di responsabilità.
Sì, la chiesa cattolica è potente, ma dov’eri tu? Come facevi tu a non sapere? E se sapevi, perché non hai parlato, perché non hai fatto nulla? Questa è la linea molto interessante — e vincente — di Spotlight. Sicuramente questa mattina molti colleghi dei giornalisti del Boston Globe scriveranno che ha vinto un film “contro il Vaticano”, alcuni allo stesso tempo sottolineeranno l’importanza della propria categoria, quasi fosse un Oscar al giornalismo tout court. Non è così. I giornalisti di Spotlight indagano sui crimini dell’arcidiocesi di Boston perché sanno di essere i primi che avrebbero dovuto dire qualche cosa e non l’avevano ancora detta. I protagonisti del film sono tutti cattolici e si rendono conto di come quelle violenze non siano capitate a loro per puro caso, essendo magari andati a scuola o a catechismo insieme alle vittime.
Certo, i preti sono i “cattivi” — Bernard Law è presentato come un vero e proprio mafioso — e i giornalisti della squadra Spotlight sono gli eroi del film. Ma sono eroi solo se rendono onore alla propria professione, servendo la verità e rispettando le vittime.