Il senso della missione
18 febbraio 2016
Un giorno una parola – commento a Salmo 96, 3
Proclamate la sua gloria fra le nazioni e i suoi prodigi fra tutti i popoli
Salmo 96, 3
Paolo e Barnaba riunita la chiesa, riferirono tutte le cose che Dio aveva compiuto per mezzo di loro, e come aveva aperto la porta della fede agli stranieri
Atti degli apostoli 14, 27
Non sono pochi i fratelli e le sorelle provenienti da altri Paesi del mondo – in particolare dal cosiddetto Sud del mondo – che in maniera più o meno diretta mi hanno detto: «Dall’Europa ci è stato portato l’Evangelo, adesso tocca a noi riportare l’Evangelo all’Europa». Certo, le considerazioni da fare rispetto a questa affermazione sono molte, ma vorrei concentrarmi, alla luce dei versetti biblici di oggi, su un singolo aspetto: lo slancio missionario. Entriamo in un terreno scivoloso, addirittura pericoloso: che cosa significa parlare oggi di missione? Siamo già stati capaci di fare una valutazione critica di un passato missionario, che almeno in alcune sue espressioni è stato molto, forse troppo vicino alle dinamiche colonialistiche? Possiamo oggi, nel mondo plurale, parlare di missione senza essere fraintesi?
Non è mio compito rispondere a queste domande in queste poche righe; credo che ciò su cui potremmo – e forse dovremmo – riflettere è il modo in cui il Salmista ci presenta il senso della missione. Proclamare, cioè condividere la gloria di Dio con quelli che sono diversi da noi. Una conoscente mi raccontava, un po’ di tempo fa, di essere stupita per quanto le persone possano essere interessate a conoscere di più la storia dei protestanti nel nostro Paese. Al tempo stesso, aggiungeva, sarebbe bene che quando si parla con queste persone non ci si limitasse a raccontare degli eventi storici, ma ad esplicitare le ragioni di fede che hanno dato origine a quella storia.
Forse, questa difficoltà percepita dalla mia conoscente, accomuna molti di noi. In quanti, come Paolo e Barnaba, oseremmo rendere conto del nostro servizio, esplicitando che non si tratta solamente di opera umana, ma di qualcosa che Dio compie per mezzo nostro? Non si tratta di mettersi al posto di Dio, ma di proseguire l’opera alla quale Egli ci ha chiamati.