Annunciare l’Evangelo
28 gennaio 2016
Un giorno una parola – commento a Atti 4, 29
Il Signore disse a Mosè: «Tu dirai tutto quello che ordinerò»
(Esodo 7, 1-2)
Adesso, Signore, concedi ai tuoi servi di annunziare la tua parola in tutta franchezza
(Atti 4, 29)
Nel pomeriggio d’un giorno d’estate Pietro e Giovanni vanno al tempio di Gerusalemme per l’ora della preghiera. Ad una delle sue porte incontrano uno zoppo che chiede l’elemosina e lo guariscono nel nome di Gesù. Molta gente è attratta dall’accaduto e i due apostoli ne approfittano per annunciare l’Evangelo, cioè la vicenda di Gesù di Nazareth, la sua morte e risurrezione, il suo ritorno, ed invitare alla conversione.
Arrestati e incarcerati, Pietro e Giovanni sono rilasciati il giorno dopo. Le autorità ingiungono loro “di non parlare, né insegnare nel nome di Gesù”, ma al loro racconto di quanto avvenuto la chiesa reagisce con le parole che abbiamo citato.
La franchezza cui i credenti di Gerusalemme fanno riferimento si diceva “parresia”. Più volte citata nel Nuovo Testamento, era la capacità di unire la profonda convinzione alla scioltezza di eloquio e al coraggio di esporsi.
La Parresia è ormai merce scomparsa dalle nostre chiese. Scorrendo i nostri giornali dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, ci imbattiamo in racconti di predicazioni e testimonianze che nascevano da un profondo cambiamento di vita e da grande fiducia nella guida del Signore. I nostri nonni e le nostre nonne erano pronti ad affrontare disprezzo e isolamento, persecuzione ed anche violenza e carcere per l’annuncio. È vero, ci sono difficoltà oggettive: come annunciare la salvezza a chi ti obbietta: salvezza da chi o da che cosa? O l’amore di Dio a chi ti risponde: ma se Dio ci fosse non dovrebbe permettere… Invitare a una vita nuova chi ti dice: è già difficile vivere questa. Parlare di resurrezione e vita eterna a chi ti sfida: fammi conoscere qualcuno che abbia visto queste cose.
Ma la difficoltà può derivare anche dal fatto che non siamo più molto convinti delle cose che annunciamo. Forse, nelle nostre comunità, dovremmo ripassare i «fondamentali» della nostra fede, riconvertendo noi stessi e le chiese prima di proporre l’Evangelo ad altri.