27 gennaio. Pavlovic: «Porrajmos è la tragedia della popolazione romanì»
27 gennaio 2016
Appuntamento oggi alla 15 a Milano, in via chiesa rossa 351, per erigere un monumento alla memoria
Porrajmos, un genocidio programmato per distruggere l’intero popolo, la sua cultura e la sua lingua. Come per gli ebrei è stata la Shoah. Ma della «grande morte» dei rom si è persa la memoria, e ancora oggi una delle minoranze più grandi del Vecchio Continente è oggetto di pregiudizi e di discriminazioni. Ricordare è importante, così come restituire a tutti i rom e sinti la propria identità di popolo, al di là degli stereotipi: «Ci sono tre modi diversi per definire la nostra tragedia a seconda dei gruppi etnici: Porrajmos significa “divoramento”, un altro termine è Samurdaripen ossia “il grande genocidio”. A differenza degli ebrei, per i rom non c’è stato nessun tipo di risarcimento né umano né sociale. Nessun rom fu chiamato a Norimberga per denunciare e accusare i propri carnefici», ha ricordato l’attrice e intellettuale Dijana Pavlovic – già testimonial della Campagna otto per mille valdese “Ferite a volte uccise” del 2013 e dedicata a contrastare la violenza sulle donne – sentita oggi da Riforma.it.
Pavlovic perché è importante ricordare anche Porrajmos in occasione del Giorno della memoria?
«Oggi è più importante che mai ricordare Porrajmos in quanto la popolazione romanì è l’unica popolazione che, nel 2016 in Italia, continua a subire vessazioni e persecuzioni che definirei senza mezzi termini: genocidio culturale. La mia speranza è quella che tra qualche anno, in un mondo finalmente libero, i nostri figli possano solamente ricordare questi tempi, come un passato e non più un presente di mostruosità commesse contro donne, uomini e bambini».
La situazione in Italia è ancora così grave?
«A Milano, dove vivo, l’assessore Granelli che ha la delega “sui rom” ha attuato 1600 sgomberi, ossia spostato dalle loro case duemila persone, poi ha annunciato la chiusura dei campi regolari, presenti a Milano da oltre trent’anni. Veri e propri villaggi dove le persone possiedono abitazioni, effetti personali, ricordi famigliari. In cambio di quelle case, vere e proprie, l’assessore offre centri di emergenza sociale che in prospettiva vedranno venti persone dormire insieme in container con bagni comuni. Nel 2016 lo Stato italiano ancora non ci considera un popolo degno di identità e dignità, bensì una fascia vulnerabile e un problema sociale. Abbiamo visto, grazie a Mafia Capitale, che questo fa anche comodo a molti. Per questo motivo è importante che le comunità rom e sinti prendano consapevolezza di quello che è stato il loro passato per combattere i pregiudizi persistenti e conquistare i diritti che spettano loro per il futuro delle nuove generazioni. La nostra cultura e il nostro modo di essere, se non ci muoviamo immediatamente, rischieranno di svanire, di sbiadire nel tempo. Il Giorno della memoria dev’essere per noi l’occasione per ricordare ciò che siamo, le nostre origini, la nostra cultura e sentirci ancor più uniti anche nel ricordo. La popolazione romanì deve esigere sia il riconoscimento come minoranza dallo Stato italiano sia il riconoscimento ufficiale di Porrajmos, lo sterminio nazifascista».
Nella legge 211 del 20 luglio del 2000 “Istituzione del Giorno della memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani deportati nei campi nazisti” non si fa accenno alla tragedia della popolazione romanì. Una grave lacuna.
«In effetti non si parla del Porrajmos, della nostra tragedia e delle nostre deportazioni. Il nostro sterminio, sterminio razziale, dovrebbe avere pari dignità a quello della tragedia ebraica Shoah. Nella proposta di legge per il riconoscimento come minoranza che stiamo promuovendo in questi giorni, attraverso una raccolta di firme, chiediamo anche il riconoscimento del Porraimos da parte dello Stato italiano».
Quanti rom e sinti sono stati uccisi nei campi nazisti?
«Ufficialmente mezzo milione nei campi. Il numero credo sia solo indicativo. Nel conteggio dei morti non compaiono ad esempio le vittime serbe, croate e mecedoni sterminate nei loro villaggi. Oggi a Milano si tiene a mio avviso un appuntamento di portata storica. La comunità di via Chiesa Rossa, cittadini italiani che vivono in quel campo da più di vent’anni, hanno deciso di erigere un monumento per ricordare quello sterminio. L’appuntamento è per questo pomeriggio alle 15 in via di Chiesa Rossa 351. Non dobbiamo mai dimenticare che gli abitanti dei campi di oggi sono i discendenti dei sopravvissuti di allora e dei morti per mano nazista. Un monumento per ricordare anche la tragedia che ancora oggi ci vede vittime di uno sterminio culturale».
Fa effetto, proprio nella Giornata della memoria 2016, parlare di campi di sterminio e di campi attuali e dove vive gran parte della popolazione romanì.
«Oggi l’unica cosa che la popolazione romanì non subisce è la morte attraverso i forni crematori. Ma ancora oggi è una popolazione vessata, che deve subire schedature (attraverso le impronte digitali) e segregazione etnica, solo per citare due esempi. Insieme all’amico e artista Santino Spinelli, da tempo ci battiamo per trovare soluzioni alternative ai campi. Ma il superamento dei campi deve rispettare alcune regole, dev’essere concordato con la comunità che ci vive, in modo che le situazioni alternative non debbano essere peggiorative e che vengano rispettate le identità culturali. Questo purtroppo oggi non avviene, anzi avviene tutto il contrario».