L'evangelica semplicità del Piccolo Principe
12 gennaio 2016
Torna sul grande schermo un cartone animato che riprende il capolavoro di Saint-Exupéry
Il primo gennaio è uscito al cinema Il Piccolo Principe di Mark Osborne, un film atteso da mesi se non altro perché è la prima grande trasposizione cinematografica del capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, già rivisitato da cortometraggi di animazione. Sembra funzionare la cornice che fa da pretesto per il racconto del libro: in una città dei nostri giorni vive una società molto «quadrata», puntuale, precisa, che vuole rendere al massimo sul posto di lavoro e raggiungere traguardi sempre più brillanti nella carriera adulta. Le porte delle case, le finestre, le automobili, persino le siepi nei giardini sono quadrate e spigolose. Solo una vecchia casa si distingue dalle altre per i suoi colori, la sua musica e il suo inquilino: è l’ormai vecchio pilota che molti anni prima ha incontrato nel deserto il piccolo principe, a seguito di un guasto nel suo aeroplano. La bambina che insieme al vecchio pilota è la protagonista del film vive nella casa accanto con la mamma, che le ha già pianificato tutta l’esistenza – anni, mesi, giorni, ore, minuti! – verso il successo. Mentre si prepara per entrare in una rinomata accademia, la bambina incontra il pilota, nella sua casa piena di oggetti colorati e, nel prato, il vecchio aeroplano che da anni attende di essere riparato.
La trama ci riporta indietro nel tempo e i disegni di Saint-Exupéry fedelmente riprodotti prendono vita attraverso bellissimi personaggi di carta ripresi in stop-motion. Fin qui tutto bene. La seconda parte del film invece vorrebbe prolungare la storia del piccolo principe. Credo che ci siano dei classici nella letteratura e nell’arte che possono essere commentati e riscritti quanto si vuole, ma che difficilmente possono essere «continuati». In questo caso, l’adulto «Mr. Prince», che si è completamente dimenticato del suo pianetino, della rosa e della volpe tradisce, a mio parere, la genuina – ed evangelica – semplicità del «piccolo principe». Se da una parte è vero che crescendo possiamo perdere molto della semplicità, della fiducia e dell’entusiasmo che avevamo da piccoli, dall’altra la proiezione di questa perdita proprio sul personaggio del piccolo principe non calza a pennello.
Il film, che comunque vale la pena di essere visto, funziona finché resta fedele alla storia originale. Quando nella seconda parte se ne allontana perde di qualità e, credo, anche di interesse agli occhi dei bambini che lo guardano (cosa che ho notato direttamente al cinema). È un po’ come ripetiamo noi protestanti da 499 anni: più si è fedeli al testo, alla Parola, e più la chiesa è genuina, semplice, accattivante. L’immagine più bella che mi ha regalato il film è quella del vecchio telescopio che l’anziano pilota continua a tenere da anni sulla sua terrazza, sempre puntato verso il cielo. Perché la vita è meno bella senza il desiderio e l’attesa di quel Qualcuno che la vita, con la sua Parola, ce l’ha cambiata.
* autore del libro Il vangelo secondo il Piccolo Principe, Claudiana, 2015)