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Vaticano: denunciare il malcostume è reato?

Nessuna reazione delle istituzioni sul processo ai giornalisti Nuzzi e Fittipaldi per il caso Vatileaks

Ci sono due cittadini italiani sotto processo in un paese straniero (oltretutto retto da un governo non democratico, una monarchia assoluta) per un reato inesistente in Italia («concorso in diffusione di notizie riservate»), senza la possibilità di essere difesi da avvocati di fiducia e di studiare con calma gli atti dell’inchiesta che li riguarda. Ci si aspetterebbe, in casi come questo, di sentire forte e alta la protesta del Governo italiano. Trattandosi, poi, di due giornalisti accusati di aver raccolto informazioni documentate e di averle pubblicate (cioè di aver fatto il loro lavoro) sarebbe ovvio aspettarsi anche la ferma e vigorosa protesta dell’Ordine dei giornalisti. 

Nulla di tutto questo è accaduto e il motivo è semplice: lo Stato estero non democratico è Città del Vaticano e questo spiega, in un Paese che non sa dove stia di casa la laicità, i silenzi imbarazzati (e imbarazzanti) delle istituzioni nei confronti dell’assurdo processo contro Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, coimputati insieme al prelato Lucio Vallejo Balda e a Francesca Chaouqui. 

I due giornalisti, infatti, hanno scritto i loro libri (Via Crucis di Nuzzi e Avarizia di Fittipaldi) in maniera indipendente l’uno dall’altro, ma con due caratteristiche comuni: sono entrambi pubblicati in Italia e sono entrambi basati su documenti ufficiali che, certo, i due non hanno trafugato (a nessuno, infatti, viene contestato il reato di furto o di rapina) e raccontano notizie su scandali e malcostume ai vertici del Vaticano, non smentite da nessuno e sicuramente di rilevanza pubblica. Accusarli, quindi, di aver fatto il loro lavoro è in palese violazione di principi riconosciuti a livello internazionale (compresa la Corte Europea, oltre alla nostra Costituzione) ed è, soprattutto contro il buonsenso. 

Oltretutto, qui non siamo nemmeno di fronte a notizie che possano mettere in pericolo la sicurezza dello Stato vaticano, «a meno che la dimensione dell’attico del cardinale Bertone o il parziale pagamento di quella ristrutturazione edilizia da parte dell’ospedale Bambin Gesù siano considerati, appunto, segreti di Stato», come osserva acutamente Luigi La Spina su La Stampa. I tempi lampo del processo e l’imminente apertura del «Giubileo della misericordia» fanno pensare (temere...) a un esito che spero verrà evitato: condanna e poi perdono papale per i giornalisti birichini.

A parte la solidarietà del Web (con petizioni on line e tanti post sui social network) e di alcuni (pochi) commentatori sui quotidiani, il silenzio su questo processo è davvero inquietante, a partire da quello del Governo. Ma il silenzio peggiore non è quello (comunque grave) delle istituzioni, bensì quello del mondo cattolico e, soprattutto, di quella parte della Chiesa cattolica romana (dai fedeli ai prelati) che esulta per l’opera di riforme avviata da Papa Francesco, che grazie al pontefice argentino ha ritrovato l’orgoglio di appartenere a questa realtà. Quei cattolici che durante i bagni di folla pieni di entusiasmo e cori da stadio lo invitano ad andare avanti e che gongolano nel vederlo portarsi la valigetta da solo oppure nel sapere che (a differenza dei casi denunciati appunto da Nuzzi e Fittipaldi) il Papa vive in 50 metri quadrati a Santa Marta.

Ecco, proprio chi ha a cuore la Chiesa cattolica dovrebbe invitare il Papa a lasciar stare processi assurdi verso chi denuncia il malcostume, cercando invece di concentrarsi su chi di questo malcostume è protagonista con azioni e comportamenti che sconcertano il popolo cattolico e certo ne minano la fiducia. Sarebbe ingeneroso affermare che questo processo (certo non celebrato all’insaputa di Francesco) vanifichi il lavoro di riforme coraggiose avviato da Bergoglio, ma è evidente la contraddizione di questi comportamenti che rischiano di aiutare coloro i quali si oppongono al cambiamento. 

Quando dice ai discepoli «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni 8, 32) è ovvio che Gesù non parla di una verità umana, né tanto meno processuale o giornalistica. Vero, però, che la ricerca della verità senza paura e senza omissioni è fondamentale per essere uomini e donne che vivono da persone libere. Perché il diritto alla conoscenza è più importante della ragion di stato. E perché, come ci insegna la saggezza popolare, di fronte al dito che indica la Luna, soffermarsi sul dito non è certo la cosa più intelligente da fare.

Foto: Pietro Romeo

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