Le Rotte inverse tra speranza e terrorismo
27 novembre 2015
Le Rotte inverse tra speranza e terrorismo
Lo scorso venerdì ci siamo ritrovati a Porto M (museo delle migrazioni di Lampedusa), un luogo che conserva moltissimi oggetti appartenuti alle migliaia di persone passate per Lampedusa durante gli anni. Abbiamo mangiato, cantato e festeggiato in allegria. Una serata come tante, ma l’occasione era speciale. Tra noi infatti una ragazza compiva 21 anni. Era partita dal Marocco ad inizio ottobre ed era stata notata quel giorno, all’interno del centro, mentre piangeva silenziosa. Per rallegrarla alcuni suoi coetanei marocchini e tunisini, dopo averla consolata, l’avevano convinta ad uscire “clandestinamente” dal primo hotspot europeo. E’ allora che li abbiamo incontrati e abbiamo deciso di festeggiare insieme il suo compleanno. Un anniversario diverso perché circondati da quegli oggetti che a noi europei raccontano delle tragiche odissee vissute dai migranti ma a loro, ai ragazzi che quel viaggio l’avevano appena affrontato, parlavano anche di molto altro. Evocavano infatti la loro casa, la loro terra, le loro musiche e tradizioni ma anche le avversità affrontate in mare.
In questo contesto, abbiamo così celebrato il compleanno di questa giovane donna. La sua vita stava evolvendo velocemente. Ma, in effetti, era proprio nelle ultime settimane che aveva subito un’incredibile accelerazione. Oggi sedeva con noi ascoltando musica e provando a comunicare in italiano e con incredibile dolcezza dispensava in modo eguale tenerezza e amicizia ai suoi coetanei che l’avevano prima protetta nei momenti di debolezza e poi convinta ad uscire, a vivere.
Non sapremo mai come sarebbe stata la sua vita se non avesse deciso di intraprendere questo viaggio, ne sappiamo i motivi che l’hanno spinta a lasciare la sua casa. Certamente il suo coraggio nell’affrontare il mondo e le nuove esperienze che le si paravano innanzi, ci raccontava di generazioni determinate ad affrontare l’esistente convinte che solamente mettendo da parte paure e timori si può aspirare a un futuro migliore.
Di fronte a queste storie, di fronte ad una generazione che a sue spese tenta di modificare la propria condizione sociale; che lascia la propria terra e la propria lingua madre; che mette in discussione la propria cultura di origine e il proprio modo di vivere, in modo più o meno consapevole; di fronte a persone che decidono di intraprendere un percorso migratorio, affrontando giorno dopo giorno gli shock culturali che questo comporta, l’Europa si chiude su se stessa, incapace di comprendere gli sforzi e le difficoltà di questi percorsi.
Le nostre città accolgono questi giovani offrendo loro ghetti, dove potranno imparare cosa è l’esclusione sociale, l’emarginazione e la povertà. Le comunità migranti in Europa sono infatti tra le fasce di popolazione socialmente più svantaggiate. La disoccupazione, le cattive condizioni di salute, i bassi livelli di istruzione, i difficili rapporti con le istituzioni, l’alta incidenza delle pene detentive anche per reati minori e le scarse prospettive professionali, contrassegnano l’esperienza di molte persone migrate in Europa. Nonostante tutto però, questi ragazzi rischiano la vita per arrivare nel vecchio continente.
Nel frattempo noi europei ci scopriamo sempre più angosciati dalla paura e dal terrore e rapidamente si propaga il sospetto nei confronti di queste persone. La religione di molti di loro viene allora indicata come la principale causa dei nostri problemi e nel tentativo di comprendere le azioni di una piccola minoranza di violenti, i media e il mondo politico internazionale rivolgono le loro attenzioni ai musulmani prima e ai migranti poi. Ancora una volta si diffonde lo stereotipo che equipara l’”immigrato” con il “terrorista”.
Molto spesso chi fugge dalla propria terra fugge dagli stessi terroristi che spaventano l’Occidente, fugge da guerre e conflitti alimentati anche dagli interessi economici del Nord del mondo. Cercando quindi di non cadere nel tranello di chi propone classificazioni semplicistiche, dovremmo invece mantenere lucidità nell'analisi.
Ci sembra strano che in questi mesi, anni, non ci si sia resi conto che la rotta dei terroristi è inversa a quella che compiono questi giovani che arrivano a Lampedusa. Una rotta non solo geografica ma anche esistenziale. Chi arriva in Europa attraverso il mare infatti, spera nel futuro, cerca una vita migliore e non una via di morte.
(Nev)