Convegno sul rapporto «Malattia e fede»
25 novembre 2015
Si svolgerà sabato 28 novembre a Napoli a cura della Fondazione evangelica Betania. Intervista a Luciano Cirica, vicepresidente della Fondazione Betania
Sabato 28 novembre, a partire dalle ore 9, si terrà a Napoli, presso l’Hotel Terminus, il convegno «Malattia e fede. Riflessioni di fronte alla sofferenza e al dolore», organizzato dalla Fondazione evangelica Betania in collaborazione con il Segretariato attività ecumeniche (Sae)-gruppo di Napoli. Ne parliamo con Luciano Cirica, vicepresidente della Fondazione Betania.
Quali sono le motivazioni che hanno portato alla scelta del tema?
«Le ragioni sono implicite nella nostra attività sanitaria all’interno della quale ci occupiamo degli ammalati, prendendoci cura non solo dei problemi fisici del corpo ma anche delle sofferenze psicologiche, interiori, spirituali che la malattia comporta. Vorremmo tentare di dare una risposta complessiva, come si dice oggi “olistica”, al problema della malattia, che riguarda non soltanto la cura di un corpo ma anche la gestione delle ansie, delle paure e delle domande di senso che a volte la malattia comporta soprattutto se essa è difficile, grave, e può condurre ad un esito infausto».
Quali sono gli obiettivi del convegno?
«Tra gli obiettivi c’è quello di offrire una panoramica a più voci sul rapporto tra la malattia e la fede aiutando i credenti e non credenti non tanto a risolvere questo tema articolato, quanto piuttosto ad individuare un percorso. Il credente può essere aiutato dalla sua fede, ma questa non sempre offre facili scorciatoie, riesce di certo a darci un orizzonte, una visione che può orientare il nostro cammino, ma non offre ricette preconfezionare. Questo convegno dunque offre alla città, agli studiosi, agli ammalati una riflessione su questo argomento provando ad essere d’aiuto nel percorso di sofferenza».
Guardando al programma della giornata balza agli occhi la pluralità delle voci che si alterneranno: oltre ad evangelici di diversa denominazione, vi saranno cattolici, ortodossi e anche un ebreo. Da dove nasce quest’attenzione?
«Nasce dal fatto che sul tema della sofferenza non ci sono ricette né facili né univoche. Credo che tutti, credenti e non credenti, davanti ad una malattia si pongano inizialmente le stesse domande di senso: perché? Perché proprio a me? Perché in questo momento? Crediamo che ognuno possa e debba elaborare una risposta personale in base alle proprie convinzioni, confessioni di fede: questo riguarda i credenti di qualsiasi confessione ma anche di chi non ha fede. Del resto questa pluralità è una caratteristica del nostro ospedale e della nostra testimonianza».
Altra cosa che colpisce, leggendo i titoli delle relazioni, è il taglio esperienziale più che specialistico che i relatori, pare, vorranno privilegiare nei propri interventi.
«Il convegno si divide in due momenti, il primo un po’ più teorico, filosofico sul rapporto tra malattia e fede, il secondo invece più operativo nel quale si darà spazio alle testimonianze e alle esperienze concrete, perché crediamo che nell’incontro con il malato e nel racconto delle esperienze di aiuto si possa dare un contributo interessante. Non vuole essere, dunque, un convegno scientifico ma un’occasione per operatori e credenti di incontrarsi e riflettere insieme».
Nel confronto con la malattia e la sofferenza ciò che vacilla e a volte viene a mancare è la speranza. Qual è il compito dei credenti soprattutto in un ospedale?
«La malattia ci interroga, può anche far vacillare la nostra fede e farcela perdere. Come operatori e come evangelici abbiamo un compito: dare a tutti, credenti e non, la possibilità di non perdere la speranza anche quando questa viene meno, “sperando contro speranza” come Abramo (Romani 4, 18). Credo che questo sia un compito anche laico: fare in modo che le persone possano – anche quando non c’è più speranza – comunque percorrere quest’ultima fase della propria esistenza nel modo più sereno possibile. Pensiamo che la vicinanza, lo stare accanto, il relazionarsi con il malato siano già elementi di aiuto per non perdere l’ultima speranza».