Moni Ovadia. L’isis e la strategia del terrore
23 novembre 2015
«Questo tipo di terrorismo islamico è il risultato delle guerre fatte in Iraq, in Afghanistan e in Libia». Moni Ovadia risponde alle nostre domande sulla guerra, il terrorismo e le emergenze politiche di questi giorni
Moni Ovadia, qual è la sua analisi rispetto ai recenti fenomeni di terrorismo che stanno colpendo l’Europa?
«Questo tipo di terrorismo islamico è il risultato delle guerre fatte in Iraq, in Afghanistan e in Libia. Questo non lo dico io, bensì autorevoli notisti politici. Tony Blair non a caso si è scusato per la guerra in Iraq, dicendo che molto probabilmente oggi non sarebbe nato l’Isis senza quell’intervento militare reso possibile solo grazie alle bugie fatte passare per verità e alle strategie comunicative per avvalorarne le tesi. Grande responsabilità per l’attuale situazione vede gli Stati Uniti protagonisti nello scacchiere internazionale. Da sempre i servizi segreti e militari statunitensi hanno formato organizzazioni in seno al mondo islamico per gestire gli anni della guerra fredda. Lo hanno fatto armando Al Qaeda e i mujaeddin: nota a tutti è l’appartenenza di Osama Bin Laden nelle strutture della Cia. L’egemonia politica e gli affari economici sono la questione che sta a cuore all’Occidente e non come si è voluto far credere l’esportazione della democrazia. Un grande e poderoso pretesto quello dell’esportazione della democrazia sapientemente utilizzato per legittimare e muovere interventi militari o guerre. Democrazia, una meravigliosa parola usata come “vessillo” per giustificare violenze e soprusi muovendosi in un'apparente “legalità”. La democrazia sta a cuore agli intellettuali e alle persone per bene, non certamente ai grandi potentati economici e geostrategici, interessati ad altro, al commercio delle armi ad esempio, al controllo di aree geopolitiche, al petrolio».
Ovadia, chi racconta come fa lei la complessa questione geopolitica è spesso accusato di essere populista o complottista.
«Dico cose note e mi preme sottolinearle. Il parlar chiaro non è da tutti, non è accomodante e spesso non aiuta. Quando l’amministrazione americana si riferisce ad un dittatore efferato lo fa usando questa espressione: “è un figlio di puttana”. Subito dopo afferma “sì ma è un nostro figlio di puttana”. Dunque quando questi “figli di puttana” sono “nostri” tutto va bene, come Saddam Hussein quando scatenava le armi chimiche contro i curdi e contro gli iraniani. Quando serve cambiare gli scenari o quando questi scenari prendono direzioni diverse, gli stessi dittatori per magia non vanno più bene. Prendiamo ad esempio la guerra che Nicolas Sarkozy, appoggiato dall’Inghilterra e poi dagli Stati Uniti, ha voluto portare in Libia: non è stata nient’altro che un’azione militare di impianto neocoloniale. Non ha risolto i problemi legati alla dittatura di Gheddafi e non ha portato la democrazia in quell’area. Certamente è servita a scatenare l’inferno regalando così strumenti poderosi a queste bande di criminali che oggi promuovono il loro terrorismo internazionale grazie al traffico di armi, di droga e di esseri umani, che grazie alla loro leadership, possono gestire con più forza le loro attività. Questi nuovi potentati criminali ovviamente usano come manovalanza i fanatici religiosi».
Eppure il terrorismo attuale vede molti giovani europei arruolati nelle file dell’Isis?
«Certamente, questi gruppi terroristici trovano spesso terreno fertile proprio nelle persone sprovviste di senso nella vita – lo ricordava proprio ieri in un bell’articolo apparso sul il manifesto il sociologo iraniano Farhad Khosrokhavar “Giovani tra banlieue e radicalismo” –, spesso arruolano le persone più vulnerabili e più fragili. Offrono loro un senso assoluto per contrastare la sensazione di “non senso” che li accompagna nell’esistenza. Grazie a quell’idea totalizzante e grazie alla promessa di cambiamento della propria condizione, da paria a quella di eroe, riescono ad attirare persone vulnerabili, che vedono nella promessa del “paradiso” una via di salvezza per la propria esistenza. Ci sono tuttavia anche figli della media borghesia che entrano nelle file dell’Isis, un segno di ribellione ad un mondo nel quale non credono e non si riconoscono più. Queste persone deviate rappresentano una piccola minoranza. La maggioranza dei musulmani vive la propria vita serenamente, lavora, crea la propria famiglia, costruisce progetti nelle società nelle quali hanno deciso di vivere».
Eppure i musulmani italiani sono stati costretti a scusarsi e prendere posizione pubblicamente e in diverse occasioni. Dopo le “ospitate” televisive hanno dovuto radunarsi a Roma e a Milano per prendere ufficialmente le distanze dall’isis.
«È folle e infame chiamare la popolazione musulmana a doversi giustificare per atti che non li riguarda. E’ come se tutti noi, che nulla avevamo a che fare con il terrorismo, fossimo stati chiamati a doverci giustificare per il terrorismo delle Brigate rosse o dell’estrema destra. Questo atteggiamento verso di loro si inserisce in una demagogia da avvoltoi, vile, portata avanti da persone che usano appositamente il facile sillogismo: terrorismo uguale musulmano. Vorrei ricordare che la stragrande maggioranza delle vittime di questo terrorismo sono proprio i musulmani e l’Islam».
In Italia e in Europa stiamo vivendo momenti grande paura.
«L’Occidente vive ancora di un Eurocentrismo che classifica le nostre vittime come importanti e le altre no. In pochi si sono mobilitati per le vittime innocenti delle guerre che il nostro democratico Occidente ha prodotto nell’area mediorientale, causate dagli “effetti collaterali”, e pochi ricordano ciò che ha causato il nostro imperante colonialismo. Prendiamo ad esempio la ridondanza mediatica per le vittime parigine, una tragedia immane e da condannare senza ambiguità, una ridondanza che non abbiamo visto in occasione della recente tragedia in Turchia che ha causato altrettanti morti, curdi dilaniati da quell’inaudita violenza. Spesso avverto un utilizzo pericoloso della retorica. Il sangue, vorrei ricordarlo, è uguale per tutte le vittime innocenti e non può essere diviso in sangue di serie A e di serie B».
Oggi sono presenti in Italia, oltre a sentimenti islamofobici, anche rigurgiti antisemiti, qual è la sua opinione a riguardo.
«Paura, criminalizzazione dell’altro, odio, sono perfetti instrumentum regni, servono per poter dominare. Per prepararsi di fronte alle trasformazioni della società, si dovrebbe prima capire, per capire si dovrebbe lasciar parlare coloro che possiedono strumenti di analisi profonda. Chi scatena la paura, chi soffia per fomentare l’odio e chi utilizza lo strumento della demagogia ha un solo scopo, quello di ottenere potere e paralizzare tutte le possibili forme di opposizione. Invece sarebbe necessario poter ragionare su ogni fenomeno in modo specifico e circostanziato. Questa è la grande lezione che ci ha tramandato Primo Levi, che avendo subito l’orrore del lager, non ha mai voluto “tirare fuori dal cappello” Adolf Hitler, ha sempre cercato di capire, circostanziare e analizzare quella tragedia nel suo profondo. Il nazismo, venuta meno la democrazia, si è servito proprio dell’odio, della paura e della demagogia, è così ha fatto lo stalinismo. Tutte le forme totalitarie utilizzano questi strumenti. L’antisemitismo è una presenza costante ma, a mio avviso, sotto controllo oggi. L’antisemitismo conosciuto in passato era una forma di politica di governo, una pandemia usata come strumento di potere. Non possiamo parlare oggi di ondate di antisemitismo, possiamo parlare di episodi di antisemitismo. La questione più preoccupante è quella che vivono oggi i rom. Una situazione che vede continue vessazioni nei loro confronti, sentimenti di odio e razzismo che purtroppo non fanno notizia».