Al centro i bambini
21 settembre 2015
Conversazione con l’avvocato Marco Scarpati partendo dall’accordo fra Unicef e Consiglio ecumenico delle chiese volto a tutelare i diritti dei bambini
La settimana scorsa a Ginevra Unicef e Cec, il Consiglio ecumenico delle chiese, hanno siglato un accordo di partenariato volto ad implementare le azioni a favore della tutela dei minori. In particolare le moltissime organizzazioni legate al Cec avranno il compito di monitorare la situazione legata ai diritti dell’infanzia nei territori su cui agiscono e, al contempo, data la loro presenza spesso capillare nella società in cui operano, si occuperanno anche di azioni educative rivolte a famiglie e bambini, per renderli consci dei tremendi rischi legati allo sfruttamento dei più piccoli, sotto qualsivoglia forma, sia essa sessuale o lavorativa o bellica.
«Molto spesso sono le persone a fare la differenza, ben più che la fede o l’ideologia ». E’ un assunto chiaro quello esposto da Marco Scarpati, avvocato, una vita intera spesa nei sobborghi di città asiatiche o africane per cercare di dare tutela agli ultimi, che a quelle latitudini coincidono molto spesso con i bambini.
Tutele che si abbassano spaventosamente laddove le situazioni socioeconomiche e culturali sono più arretrate, ma che anche dalle nostre parti sono spesso dimenticate, come troppi casi di cronaca ci ricordano (abusi, lavoro minorile anche nell’occidente cosiddetto moderno e illuminista).
«I progetti gestiti da comunità di fede sono spesso guidati da persone che conoscono perfettamente il territorio su cui operano, perché ci vivono da anni, e le loro azioni rispondono di norma in prima battuta più a principi sociali che religiosi. Rispondono a drammi e bisogni reali quindi, con l’aggiunta della grande capacità solidale e di visione di chi risponde ad una vocazione. Spesso quindi hanno certo meglio di altri il polso degli umori di certe aree».
Ai vertici di associazioni quali Cifa o Ecpat, la grande organizzazione internazionale che si occupa di proteggere i minori dalla prostituzione e dalla pedopornografia, Scarpati sottolinea la necessità «di un approccio specifico alle questioni in causa. Gli operatori che spendono il proprio tempo fianco a fianco con i minori necessitano di una formazione sui temi legati alla sessualità perché la materia è rischiosissima, la tentazione è umana, e spesso ai bambini viene insegnata l’arte della seduzione in funzione dei desideri dei turisti del sesso. Le confessioni religiose che fanno ad esempio del celibato uno dei propri punti cardine dovrebbero attivare precise azioni per preparare al meglio gli operatori a gestire queste criticità, per evitare qualsivoglia rischio di errore nell’approccio, dal più venale all’abuso vero e proprio».
Il 20 novembre è l’anniversario della ratifica della Convenzione delle Nazioni Uniti per la tutela dei diritti dei bambini, siglata 26 anni fa da quasi tutti i Paesi del mondo «ma non da tutti seguita, anzi. Molto lavoro resta da fare perché gli Stati prendano effettivamente coscienza che i minori non sono merce ma esseri umani. Purtroppo spesso è la fame a costringere le famiglie a vendere i propri figli, agli eserciti piuttosto che a sfruttatori di ogni specie. La Convenzione e i successivi protocolli vengono applicati a macchia di leopardo, certi diritti non sono per nulla acquisiti in tutto il mondo, ed è qui che bisogna agire in primis».
Le grandi migrazioni di questi anni stanno facendo emergere nuove emergenze legate alla tutela dell’infanzia anche in occidente, e Scarpati sottolinea che «questa è una nuova sfida. Gli esodi ci coinvolgono in prima persona perché mutano le nostre realtà e in Europa ci troviamo a dovere valutare questioni che credevamo relegate al passato. Penso ad esempio al rispetto di certi precetti religiosi che per i figli sono ormai superati ma che per i padri, legati ad ataviche tradizioni, sono invece il fondamento della famiglia e quindi della società: il velo, le punizioni corporali e altri temi simili ridisegnano i termini delle nostro vivere e non possiamo sottrarci da un’approfondita analisi della questione, anche in termini legislativi e giudiziari».
Sul boom di conversioni al cristianesimo in Germania da parte di migranti che in questo modo vogliono evitare il rimpatrio forzoso nei propri Paesi, in cui verrebbero arrestati o uccisi per la propria scelta, Scarpati ha le idee chiare: «E’ una delle tante risposte a un dramma in corso. Ci saranno persone sicuramente che riconoscono in altre religioni una via nuova, ma la notizia fotografa una situazione più ampia: cioè che si può essere profughi o rifugiati per tremila motivi, e chi siamo noi per dire chi ha diritto o meno allo status di rifugiato? La gente che scappa rischiando la vita lo fa perché valuta che questa sia una variabile accettabile rispetto alla condizione da cui partiva. Un discorso terribile, ma è la realtà e dobbiamo farcene carico tutti. I flussi non si fermano, bisogna saper dare risposte sistemiche per non far prevalere la pancia sulla ragione. Ad esempio, da noi in Italia siamo agli albori, ma le nazioni nord europee stanno concedendo da tempo lo status di rifugiati agli omosessuali provenienti da Stati africani in cui verrebbero condannati a morte o alla prigione per le loro scelte sessuali. Le urgenze sono qui, davanti a noi, ma non dobbiamo far vincere il panico ma l’umanità, e la coscienza che dobbiamo fare in fretta, ma bene, il lavoro di accoglienza e di rimodellamento del nostro mondo».