«La forza vitale del metodismo»
03 settembre 2015
Colloquio con il pastore Giorgio Bouchard sulle figure cardine del Patto di 40 anni fa
I 40 anni dalla firma del Patto di integrazione fra le chiese valdesi e metodiste sono l’occasione anche per rendere giusto omaggio a quegli uomini e a quelle donne che per mezzo delle azioni, delle testimonianze, della passione, hanno compiuto il percorso che ha reso possibile l’unione di due differenti confessioni, ognuna con le proprie caratteristiche, accomunate dall’amore per l’evangelo.
E ad aiutarci il pastore Giorgio Bouchard, 86 primavere e una miniera di ricordi, lui che con Franco Becchino dalla sponda metodista, è purtroppo fra i pochi protagonisti di quella stagione a poter render oggi testimonianza diretta. Grande innamorato degli Stati Uniti, Bouchard vuole iniziare da lì la sua carrellata: «anche noi valdesi ci siamo fatti forti della capacità organizzativa metodista, tipicamente britannica prima e americana poi, da cui nascerà il laburismo, la socialdemocrazia. Ed è dalla capacità metodista,di guardare agli altri, agli ultimi, in anni in cui le catastrofi umanitarie non erano sotto i riflettori come oggi, che noi abbiamo tratto parte della forza vitale che ci contraddistingue. Ricordiamo che metodista è stato Mandela, lo è Hillary Rodham Clinton, che probabilmente sarà la prossima inquilina della Casa Bianca. Giusto per render chiaro cosa vuol dire oggi metodismo nel mondo, con oltre 70 milioni di fedeli».
E in Italia? «Da noi il metodismo giunge grazie ai predicatori e ai pastori che scendono dall’Inghilterra, e le opere e le azioni nel nostro Paese saranno sempre care sia alla componente inglese (wesleyani) che a quella statunitense (episcopali). Nella nostra storia entrano con il Risorgimento: come molti evangelici vivono quelle battaglie come una missione superiore. Nascono chiese, molti anche fra i pastori e i predicatori sono garibaldini e mazziniani, ferventi antipapali. E’ in quegli anni che nasce la Chiesa Libera italiana per opera del pastore Alessandro Gavazzi, che durerà 30 anni arrivando a contare circa diecimila fedeli in tutto il Paese. Di fronte a gravi problemi economici le due missioni, americana e inglese, a inizio ‘900 – che a loro volta si uniranno nella Chiesa metodista evangelica italiana nel 1946 – se ne spartiscono sostanzialmente i beni, salvandoli».
I contatti con il mondo valdese sono già databili da allora: «certamente. Anche nella prima guerra mondiale saranno molti i volontari, sia metodisti che valdesi, a combattere per la patria. Ed è del 1920 un primo congresso evangelico che aveva lo scopo di unire i protestanti italiani. Ma gli anni seguenti saranno terribili. L’avvento del fascismo svuota le casse, soprattutto metodiste, perché vengono bloccati gli aiuti mentre i valdesi dalle chiese svizzere e tedesche, più prossime a noi, qualcosa riescono sempre a ricevere, pur fra mille difficoltà».
Il metodismo comunque sopravvive. «Metodista in quegli anni è Emanuele Sbaffi, che regge la chiesa valdese di Roma e che, secondo le ultime ricerche, fu colui che tenne l’orazione funebre di Antonio Gramsci al cimitero del Verano prima della trasposizione delle ceneri al cimitero acattolico. Metodista è il pastore e gran massone Tito Signorelli, che negli anni del connubio fra cattolicesimo e camicie nere fa pubblicare con gran coraggio una sua traduzione di un volume francese che smonta già allora la mistificazione della sindone, simbolo di casa Savoia. Metodisti sono Jacopo Lombardini, commissario politico negli anni della Resistenza, morto a Mauthausen, decisivo nella mia formazione - è con lui che io bambino ho visto per la prima volta la Gheisa d’la Tana, la Balsiglia e altri luoghi dell’epopea valdese - e Fausto Nitti, fra i fondatori di Giustizia e Libertà, figlio del pastore metodista di via dei Cimbri a Napoli, che lasciava sempre una sedia in fondo alla chiesa riservata alla spia del Duce, che tutti sapevano chi fosse. Chissà se la spia ha mai capito che quel posto era una presa in giro. Metodista la famiglia Visco Gilardi, moglie e marito, eroi per aver salvato diverse persone destinate ai lager. Il grande sindaco di Scicli, Lucio Schirò, per certi versi è la figura più poetica e forte del metodismo e del pacifismo italiano, il Martin Luther King della Sicilia come è stato ribattezzato».
In quegli anni sono intense le relazioni con il valdismo, si parla di unioni, fusioni, aggregazioni: «fra le proposte ci fu quella di annullare i nomi delle nostre confessioni per abbracciarne tutti insieme una nuova, la chiesa evangelica italiana. Questo era troppo, i valdesi con la loro storia non potevano rinunciare al proprio nome. Fu Giovanni Miegge fra i più fermi su questo punto».
Ma la via era tracciata. Su molti fronti le attività e i lavori erano comuni, e si sentiva la necessità di dare più forza all’evangelismo italiano. Si parte con il riconoscimento dei reciproci pastori. «Tre le figure della svolta: per l’aspetto politico Neri Giampiccoli, pastore valdese, che contribuì a sciogliere il nodo a cui si era giunti, relativo alle formule per garantire le reciproche peculiarità. Per quello legislativo Giorgio Peyrot, il grande giurista, a fornire il supporto tecnico e teologico al patto, con la ben chiara idea di un protestantesimo italiano unito, con ampio spazio all’interno per ogni realtà, fosse chiesa o persona. Per il prestigio Giorgio Spini, grande storico del protestantesimo, metodista e membro della Tavola in quegli anni cruciali».
La svolta è nella moderatura di Aldo Sbaffi, un metodista alla guida del sinodo valdese, «un capolavoro politico di quegli anni, che entusiasmò Spini, Franco Becchino, Sergio Aquilante e tutti noi. Aquilante disse a chi aveva paura di veder cancellata la propria storia “i vostri morti sono i nostri morti, la vostra storia è la nostra, il vostro sinodo è il nostro”. Parole forti. Le comunità erano pronte, il patto si fece».
Fu vera gloria? «Ne è valsa la pena, certo, il matrimonio è stato fecondo e produttivo, gli uni traendo forza dai valori degli altri. E’ stato giusto compiere quel percorso che oggi pare naturale alle nuove generazioni, e che invece è stato frutto di anni di relazioni, dialoghi, anche discussioni e litigi. Ma che è qualcosa che appartiene oggi a tutti noi».