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Il rapporto di Nessuno Tocchi Caino sulla pena di morte nel mondo

L'anno passato i paesi che prevedono la pena di morte sono diminuiti ma le esecuzioni no. Ne parliamo con Elisabetta Zamparutti, curatrice della pubblicazione

Venerdì 31 luglio l’associazione Nessuno Tocchi Caino ha presentato il rapporto 2015 sulla pena di morte nel mondo. I dati potrebbero essere semplici da leggere, se non fosse che eseguire una condanna a morte comprende una serie di complicità da cui forse, come Europa, non possiamo sentirci totalmente estranei, sebbene la pena di morte sia stata abolita da tutti i paesi dell’Unione europea e, se non fosse per la Bielorussia, dal continente europeo.

Abbiamo parlato con Elisabetta Zamparutti, curatrice della pubblicazione.

Cosa emerge dai dati di questo rapporto?

«Emergono delle notizie positive relative al continuo rafforzarsi del processo abolizionista: sono ormai quasi 161 i paesi abolizionisti a vario titolo e 37 quelli mantenitori, un numero che si è ridotto rispetto ai 39 dell’anno precedente. Però quello che preoccupa è l’aumento delle esecuzioni che, nel 2014 sono state almeno 3.576, un aumento rispetto alle 3.511 del 2013, legato soprattutto all’incremento che abbiamo registrato in Iran e in Arabia Saudita. In questi paesi, in particolare in Iran, sotto la presidenza Rouhani, si è assistito a un’escalation terrificante: in soli due anni ci sono state circa 2.000 esecuzioni e il ritmo che stiamo monitorando quest’anno ci fa pensare che si possa arrivare a 1.000 esecuzioni anche nel 2015. In generale, nei primi sei mesi di quest’anno il ritmo è crescente; in particolare è il Pakistan che dopo aver tolto una moratoria ha ripreso massicciamente le esecuzioni. Quello che possiamo dire è che nel mondo è soprattutto la politica antidroga e antiterrorismo a portare sul patibolo migliaia di persone.

Il primo paese mantenitore della pena di morte nel mondo rimane la Cina, non fosse altro per il numero di abitanti, ma va detto che negli ultimi anni ha contenuto molto il numero delle esecuzioni, mentre altri paesi come, appunto, Iran, Arabia Saudita e Pakistan le hanno aumentate in maniera considerevole».

Sulla Cina ci sono dati certi?

«Ci sono delle stime che ci portano a dire che le esecuzioni l’anno scorso sono state circa 2.400, un numero impressionante che però, confrontato alle cifre del 2006/2007 quando si stimavano circa 10.000 esecuzioni, fanno capire quanto la Cina stia cercando di contenersi anche mettendo in atto una serie di riforme dal punto di vista del codice di procedura penale e del codice penale».

C’è una differenza tra pene legali e non, legate cioè a entità statali auto nominate?

«Noi prendiamo in considerazione anche quelle che sono le esecuzioni sommarie extra giudiziarie legate soprattutto a movimenti come Al Shabaab, Al Qaeda, Isis. Facciamo un monitoraggio anche di queste situazioni che prevedono la presenza di una corte, di una giuria, per quanto sommaria, che emette la sentenza e magari poi procede anche all’esecuzione.

Noi denunciamo con forza anche le uccisioni eseguite per mezzo di droni, nonostante manchi una definizione precisa. Sappiamo, per esempio in America, quante garanzie e quanti gradi di ricorso esistono per le persone condannate a morte, però per attivare un drone e colpire un terrorista o presunto tale esiste una procedura avvolta dalla segretezza alla quale il presidente degli Stati Uniti decide di fare ricorso senza il passaggio di un regolare processo. Nell’arco degli ultimi cinque anni le stime delle organizzazioni che si occupano di questo aspetto portano a parlare di circa 5.000 persone morte come effetto collaterale dell’uso dei droni.

Questo è un problema che attiene al rispetto dei principi dello stato di diritto.

Tra l’altro in America, a questa segretezza che avvolge l’uso dei droni, si aggiunge anche l’introduzione del segreto di Stato per quanto riguarda l’uso dei farmaci che compongono l’iniezione letale. A seguito di una serie di problematiche - per esempio il caso di un anno fa in Oklahoma legato alla condanna di Clayton Lockett, giustiziato con un’iniezione letale che ha portato terrificanti sofferenze per oltre 45 minuti - si è posto il problema di che cosa venga usato e come siano usati questi farmaci. È paradossale pensare all’iniezione letale come metodo civile e più umano per eseguire una condanna, ma la verità è che non esiste un metodo civile e umano per uccidere una persona».

Tanto più che nei paesi dove si usa questa metodologia di esecuzione sarà sempre più difficile metterla in pratica visto che molte case farmaceutiche stanno boicottando la produzione di questi farmaci...

«Questo è un ulteriore problema. Cinque anni fa scoprimmo che proprio in provincia di Milano si produceva il Pentothal, una componente di questo cocktail per l’iniezione letale. Riuscimmo a bloccare la produzione, la stessa casa farmaceutica non intendeva assolutamente continuare nella produzione di un farmaco che veniva poi usato dai penitenziari per giustiziare i prigionieri. Questo ha avuto un effetto a cascata tale per cui le grosse multinazionali non hanno voluto pagare il prezzo di un danno di immagine legato a produzione di farmaci con questo fine. A seguito di questo blocco c’è stata una moratoria di fatto in molti stati della federazione americana e non solo. Il problema è che poi, per superare questo ostacolo, i mantenitori hanno deciso di rifornirsi dalle compound pharmacy, delle farmacie che in maniera artigianale producono queste sostanze sulle quali poi hanno posto il segreto, in questo contraddittorio e insostenibile ricorso all’espediente del “civile e umano” modo per eliminare un essere umano».

All’interno di questo discorso c’è una parte legata all’esecuzione non materiale: l’ergastolo.

«Esattamente. Per noi parlare dell’abolizione della pena di morte significa porre anche la questione dell’abolizione della pena fino alla morte, l’ergastolo. Su questo tema terremo anche il nostro prossimo congresso, perché se la pena di morte è la parola fine alla vita fisica, l’ergastolo è la parola fine alla vita civile di una persona. Occorre sempre tenere conto della speranza che una persona continua a esprimere nella possibilità del cambiamento. Su questo ci ha incoraggiato molto il discorso che Papa Francesco ha rivolto all’associazione internazionale dei penalisti lo scorso 23 ottobre e che proprio per la forza delle sue parole abbiamo deciso di pubblicare come introduzione al rapporto. Quando ha parlato dell’importanza di abolire la pena di morte ha aggiunto anche dell’abolizione della pena all’ergastolo, che lui ha definito “una pena di morte mascherata”. D’altro canto la forza di queste parole è ancora più grande se consideriamo che tra i primi atti del suo pontificato c’è stata la decisione di abolire l’ergastolo nella città–stato del Vaticano, oltre ad aver deciso di introdurre il reato di tortura, cosa che noi come stato italiano, nonostante la ratifica oltre 26 anni fa della convenzione contro la tortura, non siamo ancora riusciti a fare».

Foto "SQ Lethal Injection Room" by CACorrections (California Department of Corrections and Rehabilitation) - http://www.flickr.com/photos/37381942@N04/4905111750/in/set-72157624628981539/. Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons.