Uscire dal «patto»?
29 luglio 2015
I Comuni sempre più frustrati nel non poter usare i propri «risparmi»
Il «Patto di Stabilità» è un termine cui ormai tutti ci siamo abituati. Più che i cittadini, sono però gli amministratori a essersi trovati spesso negli ultimi anni davanti a questo insormontabile problema, che vieta loro di utilizzare i fondi a disposizione, scaturiti da una buona gestione della cosa pubblica. Il «Patto di Stabilità» è l’insieme delle regole con cui i Comuni concorrono al risanamento dei conti pubblici e negli anni dal 2010 al 2014 i Comuni hanno contribuito con 8,5 miliardi derivati dal Patto e altri 8,5 con la riduzione della spesa al risanamento.
I Comuni con popolazione compresa fra i 1001 e i 5000 abitanti si stanno però muovendo per chiedere di non dover più sottostare a questo patto, in quanto «produce inevitabili ritardi sui pagamenti alle imprese e una contrazione della spesa corrente con immediate ricadute negative sui servizi alla collettività» secondo l’ordine del giorno approvato da diverse amministrazioni.
«Anche a Porte abbiamo deliberato in questo senso – ci spiega il sindaco Laura Zoggia – perché non potendo usare questo denaro le nostre risorse sono sempre più limitate, non riusciamo più a fornire i servizi ai nostri cittadini. È chiaro che c’è in ballo un grande progetto di ridefinizione delle autonomie dei piccoli Comuni ma è vero allo stesso modo che i piccoli Comuni sono quelli maggiormente virtuosi. Lo dico per Porte e per la val Chisone tutta, ma anche per i territori vicini il discorso è simile: quest’anno Porte è stata “virtuosa” per circa 80.000 euro e questi soldi dovrebbero esserci ridati dallo Stato ma sappiamo che questo non avverrà mai».
Cerchiamo di capire meglio che cosa potrebbe fare un Comune qualora avesse a disposizione le somme bloccate dal patto. «Non stiamo parlando di grandi cifre – continua Zoggia – al massimo, sempre parlando di Porte, 60-70.000 euro. Ci sono due linee d’azione. La prima è accantonare per alcuni anni, due o tre, gli avanzi di bilancio per poi partire con un progetto più sostanzioso e ampio. La seconda via da seguire è invece quella dei piccoli interventi. Proprio nei giorni scorsi abbiamo avuto un piccolo problema, è crollata una vecchia sponda di un canale, in corrispondenza di un piccolo ponte. Avessimo avuto la possibilità di utilizzare i nostri fondi avremmo già risolto il problema. Invece ho dovuto contattare la Città Metropolitana e la risposta è stata, dopo un sopralluogo, che non ci sono i fondi necessari. Al che ho contattato l’ufficio competente della Regione ma ho avuto la stessa risposta. A questo punto, per un intervento di poche migliaia di euro dovrò rivolgermi direttamente ai Ministeri di competenza? Se avessimo avuto la possibilità, avremmo nuovamente il ponte agibile nei due sensi di marcia, invece tutte le borgate che utilizzano questa via d’accesso sono costrette da un senso unico alternato e dalla speranza che il problema non si ingrandisca, con il rischio di dover chiudere il ponticello».
Questo è solo uno dei molti esempi che il nostro territorio ogni giorno si trova ad affrontare senza poter utilizzare le risorse. «È quasi frustrante non poter dare le risposte che vorremmo ai cittadini» è la conclusione, amara, di Zoggia.