Brescia a 41 anni da Piazza della Loggia
23 luglio 2015
Commentiamo la notizia dell'ultima sentenza con la pastora Anne Zell, della chiesa valdese di Brescia
Sono passati 41 anni dalla strage in Piazza della Loggia a Brescia. Dopo anni di sentenze e appelli, il 22 luglio 2015 la Corte d'Assise di Milano ha condannato all'ergastolo Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, ritenuti responsabili dell'esplosione che uccise 8 persone e ne ferì 102 durante una manifestazione antifascista. A distanza di tempo, quei fatti toccano ancora gli abitanti della città: ne parliamo con Anne Zell, pastora della città.
Cosa pensa della notizia?
«Sicuramente l’attentato di Piazza della Loggia è una ferita ancora aperta per Brescia. Si percepisce in diversi momenti, negli anniversari o quando le scuole si ritrovano per ricordare le vittime. Quello che colpisce è che dopo 41 anni sia stato possibile condannare i veri mandanti, anche se Maggi, che ha più di 80 anni non andrà mai in prigione. Conosciamo alcuni parenti delle persone coinvolte e sappiamo che per le famiglie è importante che finalmente sia stata riconosciuta la responsabilità di quel dramma».
Un momento importante per l'Italia: lo è anche per la città?
«Si, per esempio le scuole sono molto coinvolte, così come la cittadinanza attraverso diversi momenti: il ricordo della strage rimane un monito e un occasione per stringersi tutti insieme e manifestare per la democrazia e la giustizia, per una città vivibile dove si condividono gli spazi e dove ci si confronta democraticamente. Sono a Brescia da sei anni e ho sempre partecipato a queste manifestazioni, così come altre persone della comunità, proprio per sottolineare come non bisogna smettere di chiedere giustizia e trovare i veri colpevoli».
La comunità di Brescia sembra particolarmente attenta ai temi di intolleranza: è così?
«A Brescia sono nati altri movimenti di destra che sostengono delle posizioni di intolleranza e discriminazione verso, per esempio, le nuove famiglie. Ma occorre fare le dovute distinzioni, in quel caso non si parla di terrorismo e violenza. Occorre dire però che all'inizio ci sono sempre di parole di intolleranza con manifestazioni che vogliono negare i diritti alle persone che non rientrano in determinati schemi: a Brescia ci sono le sentinelle in piedi, sostenute da patria nostra, forza nuova e altri movimenti di estrema destra. Come comunità ci siamo sempre apertamente schierati contro queste manifestazioni di intolleranza».
Anche a livello ecumenico, la discussione va avanti da anni, giusto?
«Si, sui temi dei diritti, con l’attenzione particolare alla composizione della comunità, che è multiculturale e interculturale. Anche al nostro interno infatti i dibattiti sono lunghi. Ma la visibilità della comunità è grande, ci interpellano su questi temi, soprattutto sulla discussione sulle coppie di fatto e le nuove famiglie.
La comunità potrebbe essere un laboratorio per la città contro l’intolleranza?
«Si, soprattutto nell’esercitarsi in un modo di convivenza, di discussione e di confronto democratico. Questo è un contributo che le nostre chiese sono chiamate a dare, per non arrivare alle situazioni in cui l’intolleranza si trasforma in violenza».