L'Europa dei muri che non riesce a gestire le migrazioni
02 luglio 2015
«L’incapacità di dare risposte a livello europeo sta mettendo in sofferenza l’applicazione della libera circolazione e producendo clandestinità»
La Gran Bretagna vuole costruire una barriera alta tre metri per impedire l'accesso agli immigrati che vogliono raggiungere il Regno Unito dal porto e dall'Eurotunnel di Calais. In quella zona sono già presenti alcune recinzioni e sistemi di rilevazione, finanziati dall'Inghilterra, che rallentano i tentativi di molti migranti di salire clandestinamente sui camion in attesa di imbarco. Tentativi che spesso sfociano in tensioni con i trasportatori. I quotidiani hanno parlato del nuovo muro, che a differenza di quello tra Ungheria e Serbia di cui abbiamo parlato tempo fa, è tra due paesi significativi dell'Unione Europea. Cosa significa all'interno del confuso dibattito sulle questioni migratorie che l'Europa sta affrontando in questi mesi? Ne abbiamo parlato con Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato che opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo con diverse organizzazioni non governative.
Come commenta la notizia?
«Non è una grande novità. Calais già da anni è un punto di snodo fondamentale per il passaggio in Gran Bretagna, dove le norme sono molto restrittive ma ci sono anche le garanzie: le prospettive per chi chiede lo status di asilante in termini di integrazione sono concrete, a differenza di quello che avviene, per esempio, in Italia. Questo spiega perché nonostante il rischio del passaggio ci siano molte persone, ultimamente giovani eritrei, che cercano di arrivare in Gran Bretagna. Calais ha una situazione particolare perché cui sono molti camion in fila per entrare al porto e non c’è una barriera protettiva. La notizia non mi sconvolge particolarmente: pensiamo al porto di Ancona, luogo di sbarco dalla Grecia, che è un porto militarizzato con un recinto molto alto e sorvegliato. A Calais esistono pattuglie congiunte, controlli molto forti, attività con idranti e spray per contrastare i migranti e forti tensioni tra i camionisti che si ritrovano, spesso a loro insaputa, i migranti nascosti sotto i camion. C'è però una grossa solidarietà della popolazione, che rischia, perché in Francia chi aiuta un immigrato irregolare può essere passibile di conseguenze penali. Calais è interessante per quello che significa: una contraddizione interna all’Unione Europea, rispetto anche al Regolamento Dublino che produce clandestinità ma che nessun paese vuole modificare».
Quindi il comportamento dell'Inghilterra è in linea con le azioni del resto d'Europa?
«L’Inghilterra sta facendo pressioni sull’Italia, per esempio, per identificazioni forzate con il rilievo delle impronte digitali nei porti siciliani. Semmai andrebbe indagato, da un punto di vista dei diritti umani, il comportamento della polizia francese e inglese congiunto alle pattuglie di Frontex nel porto di Calais nei confronti di migranti irregolari che vengono intercettati e spesso bastonati, allontanati con la forza e arrestati, se resistono. Questo è un problema che abbiamo avuto anche in Sicilia e lo scenario di Calais, nei termini di scontro e conflittualità, potrebbe verificarsi anche a Pozzallo o a Catania».
Che significato assume un muro tra due stati europei?
«Significa prendere atto che l’Europa non è stata capace di darsi una politica dell’asilo e di condivisione degli oneri per la gestione di chi ne fa richiesta. Ha reinventato una distinzione surrettizia tra richiedenti asilo e migranti economici per poterli espellere o respingere. Finché non c’è una richiesta di protezione, infatti, sono tutti migranti irregolari passibili delle misure di contrasto, soprattutto chi non rilascia le impronte digitali. È falso dire che la maggior parte di quelli che arrivano sono migranti economici perché anche se sono schedati come tali, sono al 70 % portatori di esigenze di protezione, secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. C’è una risposta in termini difensivi, di criminalizzazione e proibizione nella mobilità di persone che dovrebbero essere lasciate libere di muoversi. In questo momento il problema non è solo il regolamento Dublino, ma anche Schengen, lo vediamo a Ventimiglia, alle frontiere con Austria, Slovenia o Svizzera. L’incapacità di dare risposte a livello europeo sta mettendo in sofferenza anche l’applicazione della libera circolazione e producendo clandestinità».
Sembra che ci si possa accanire sui migranti economici, che ne pensa?
«Si. Infatti quando riusciamo a fare i ricorsi contro i dinieghi delle richieste di asilo che le commissioni territoriali stampano in misure sempre maggiori per la pressione del Ministero dell’Interno, i giudici riconoscono il diritto alla protezione. La distinzione tra migranti economici e diritto di asilo che giustifica il lancio di politiche di riammissione e accordi con paesi dittatoriali, in realtà crolla davanti ad un giudice indipendente quando si analizza la storia individuale della persona e si trovano le motivazioni per il riconoscimento della protezione».
Le quote di ridistribuzione sono un modo giusto di affrontare il problema?
«Il ragionamento sulle quote non ha fondamento morale, politico né legislativo. I numeri sui quali si ragiona sono inesistenti rispetto alle persone che sono già riconosciute. 40mila persone da ridislocare, o 20mila da far entrare in due anni, rispetto alle 400mila persone che potrebbero normalmente essere ridistribuite in Europa e che sono pronte a partire è inadeguato. Il discorso delle quote per i richiedenti asilo non è conforme alla legge e ai principi fondamentali, perché non è contingentabile per quote e per numeri, ma si tratta di un diritto fondamentale riconosciuto dalle convenzioni internazionali, che non fanno riferimento a un tetto massimo di richiedenti che ciascun paese più accogliere. Un problema di gestione che non è da risolvere classificando come migranti economici una parte dei richiedenti e respingendoli, né facendo accordi di riammissione con i paesi da cui provengono queste o persone. Un'ulteriore degenerazione di un discorso politico europeo che è anche frutto della pressione mediatica e di movimenti di opinione apertamente xenofobi che stanno costruendo un'immagine negativa intorno a chi richiede asilo, alla quale in passato veniva attribuita la figura di clandestino».
Dunque che prospettive abbiamo?
«La questione immigrazione non è isolabile dalle altre questioni che in questo momento dividono l’Europa, che ha uno scarsissimo potere decisionale rispetto agli stati. A livello europeo abbiamo governi apertamente razzisti come quello Norvegese, Ungherese, Bulgaro o Inglese, e non credo che le soluzioni da Bruxelles possano essere operative e condivise. Le prospettive dovrebbero essere un’assunzione di responsabilità a livello nazionale, con degli strumenti legislativi che ci sono, come i permessi di protezione temporanea che si utilizzarono per l'emergenza nord Africa».