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L'ecumenismo è riconoscimento reciproco, non unità a tutti i costi

L'incontro dei valdesi con papa Bergoglio non è andato nella direzione descritta ieri da Scalfari su «La Repubblica»

Con la regolarità che è ormai diventata un’abitudine, Eugenio Scalfari commenta ampiamente su La Repubblica di mercoledì 1 luglio, la recente enciclica di Papa Bergoglio Laudato si’. Il fatto in sé non stupisce perché la pubblicazione di questo documento ha avuto una vasta eco e non sono pochi coloro che, nel piattume culturale, etico e spirituale che ci circonda, vedono nel Papa l’unica personalità di rilievo, capace di dire delle parole chiare al mondo contemporaneo. Del resto, lo stesso fondatore del quotidiano ricorda aver incontrato il papa quattro volte, tanto da poter affermare che sono «diventati amici». È indubbio che questi incontri e questa amicizia abbiano fortemente segnato il giornalista, un tempo fortemente critico nei confronti della fede e della Chiesa cattolica romana e oggi pronto al dialogo tanto da definire papa Bergoglio «profeta e pastore» e «la figura più rilevante del secolo in cui viviamo». Ma non è questo che mi colpisce e mi induce a intervenire – si tratta infatti di giudizi che impegnano soltanto colui che li esprime. E poi, sono molti coloro che sono rimasti colpiti dalla personalità di papa Francesco e dalla sua capacità di aprirsi agli altri. Fin dal momento della sua elezione ha incontrato un grande favore popolare, segno, questo, che anche dopo due pontificati molto «alti» si sentiva il bisogno di una figura più pastorale e attenta ai problemi concreti della gente.

Ciò che mi ha turbato, piuttosto, è il commento che Scalfari ha fatto sulla visita al tempio valdese di Torino. Qui Scalfari, per spiegare ai suoi lettori chi sono i Valdesi, si avventura in una ricostruzione storica che lascia allibiti e che non si comprende da dove sia stata tratta: di tutta la ricostruzione si salva solo il nome del fondatore, Valdo. I Valdesi vengono infatti definiti «scismatici» e «Catari», mentre non erano né l’una né l’altra cosa. Come ha spiegato il moderatore della Tavola valdese Bernardini nel suo intervento, il loro intento era quello di libere praedicare, predicare nella libertà, proponendo alla cristianità del loro tempo un modo diverso di essere fedeli, seguendo la povertà e non la ricchezza, il rigore e non la corruzione, la debolezza e non il potere costantiniano. I Valdesi, si sa, hanno questa matrice medievale che li rende interessanti; ma troppo spesso si dimentica, come fa Scalfari, che essi hanno aderito nel 1532 alla Riforma protestante e si sono così inseriti nel più ampio progetto di civiltà che ha creato il mondo moderno. Ma questo i laici italiani non lo vedono – e Scalfari con loro. Sono troppo abituati a identificare cristianità con cattolicesimo e cattolicesimo con il Vaticano e la sua politica di potere, tanto da perdere di vista la ricchezza delle proposte che provengono dal mondo cristiano in generale e da quello protestante in particolare. Del resto Scalfari lo ha già detto più volte: le Chiese protestanti sono delle «sette» divise fra loro e pertanto incapaci di proporre alcunché al mondo moderno. Corollario di questa tesi è che soltanto il papato può dire o dare qualcosa di significativo. Ed è esattamente ciò che papa Bergoglio sta facendo, secondo il giudizio di tanta stampa laica – mentre il Consiglio ecumenico delle Chiese da decenni propone progetti di «giustizia, pace e integrità del creato» nell’indifferenza generale.

Ma c’è un secondo aspetto da considerare. Il fondatore de La Repubblica sostiene che «’obiettivo di Francesco è di aprire la Chiesa a tutte le comunità protestanti e riunirle» e legge la visita del 22 giugno in questa dimensione. Ma se così fosse, sarebbe esattamente il contrario di quanto si è affermato con una certa solennità in quel giorno, e cioè che l’ecumenismo che noi prospettiamo è l’unità nella diversità, nel riconoscimento reciproco di ciò che si è.

Francamente, mi pare che di un «ritorno a Roma» o di una unità sotto il papato non si sia parlato e non sia assolutamente in agenda.

La sensazione è che il cattolicesimo sia più avanti dei suoi ammiratori laici.

Foto P. Romeo/Riforma