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L’“ecologia integrale” dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco

Letizia Tomassone, pastora valdese: «un'enciclica che avrà un forte peso sulla cultura del nostro tempo»

Pubblichiamo una riflessione sull'enciclica di papa Francesco "Laudato si’" da parte della pastora valdese Letizia Tomassone, teologa da numerosi anni impegnata sul fronte della salvaguardia del Creato, autrice del recente volume Crisi ambientale ed etica. Un nuovo clima di giustizia (ed. Claudiana).

di Letizia Tomassone, pastora valdese

La terra, nostra sorella e madre: la prima parola dell’enciclica è l’identificazione femminile della terra, che è “tra i poveri e sfruttati”. Una bella immagine che viene dalle battaglie afroamericane e dalla cultura laica. L’attacco dell’enciclica tiene insieme una profonda critica della cultura cristiana del dominio sulla terra inanimata; il ritrovamento delle radici spirituali cristiane di un’altra visione del pianeta; e il pensiero laico del nostro tempo, capace di vedere la terra come unica risorsa dei più poveri fra i poveri. L’enciclica va così a cercare nei testi cattolici più recenti questa sensibilità che ci insegna a tenere insieme progresso e giustizia, conversione ecologica e sguardo rivolto agli ultimi.

È la figura di Francesco d'Assisi che mette soprattutto l’accento sulla cura del credente nei confronti del creato – fiori e piante a cui Francesco predicava e di cui si prendeva cura come dei poveri, tenendo insieme «la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore». Bello anche l’accenno alle piante selvatiche che esprimono pienamente la grazia di Dio, più grande di ogni nostra capacità di cura o di controllo.

Mi pare significativo riportare qui un piccolo sommario che troviamo nella presentazione del tessuto dell’enciclica e che ne rende bene il senso: «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita». Trovo molto buono l’utilizzo di un linguaggio fresco e comunicativo, l’utilizzo di termini che fanno parte del nostro tempo, per esempio la categoria di “bene comune” applicata al clima del pianeta.

Segue una parte più scientifica che definisce le categorie e spinge verso la chiusura di quest’era di uso delle risorse fossili in favore di un’economia dei rifiuti e del riciclo, e dell’uso di risorse rinnovabili. Poi, una parte viene dedicata al dialogo interreligioso, e contiene un invito a lavorare con tutti, perché tutti abitiamo questo pianeta che fa parte delle promesse di Dio alla creatura umana, promesse che non vengono meno, e a cui noi siamo chiamati a collaborare. La parte finale riguarda il modo di affrontare i governi del mondo e la sfida più grande, quella dell’educazione, su cui la chiesa può spendere molte risorse.

La chiesa sembra proporsi come uno dei soggetti di regolazione delle relazioni tra Stati su questo tema, in nome dell’interdipendenza dell’umanità su questo pianeta. E sempre restano i/le poveri sullo sfondo, vero interlocutore di molti discorsi e di molta teologia di questo papato.

Il termine “ecologia integrale” tende a comprendere al suo interno l'intervento sull’ambiente e l'intervento sulla società, e la solidarietà tra generazioni. Temi che il papa sembra aver appreso da quel movimento ambientalista che ha avuto tra i suoi momenti più alti la Conferenza Onu di Rio + 20 (2012) e la formulazione della Carta della Terra (2000). Non mancano i riferimenti biblici al concetto di riposo sabbatico e all’incarnazione che dà valore alla materia del creato. Questa parte finale è più intessuta di teologia cattolica, l’idea del sacramento, il riferimento a Maria, che però non è lasciata sola ma affiancata a Giuseppe, capace di prendersi cura con tenerezza di chi gli era affidato e di proteggerli dall’ingiustizia: un modo nuovo di riferirsi alla famiglia di Gesù. Nell’enciclica trova ampio spazio anche la dottrina della Trinità.

Vi sono risonanze dal mondo del Consiglio ecumenico, che su questi temi ha investito molto negli ultimi trenta, quarant’anni? Purtroppo sono appena accennate queste riflessioni, a cui pure almeno in Europa la chiesa cattolica ha partecipato nell’epoca delle grandi assemblee ecumeniche di Basilea, Graz e Sibiu, e nella redazione della Carta ecumenica. Il papa dà spazio solo al pensiero importante del patriarca ecumenico Bartolomeo che invita alla conversione degli stili di vita. Infatti così si è espresso ormai da tempo il patriarca: «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio». Dispiace questo distacco dall’impegno ecumenico: è come se il vedersi fra chiese fosse ancora del tutto offuscato. Ciò che fa l’altra chiesa è ignorato o ignoto, e questo impedisce un cammino comune che avrebbe certamente un altro impatto sulla società che scarta ed esclude e che consuma il mondo e le vite.

È comunque interessante che i testi dei vescovi cattolici che vengono citati provengano in larga misura da America latina, Asia, Africa. È dai popoli emergenti che viene un’interpellazione profetica ai credenti perché l’evangelo torni a essere forza che trasforma il mondo, in direzione di una “cittadinanza ecologica” nuova e consapevole dell’interconnessione dei nostri atti.

Tutto andrà riletto e studiato con calma. Già si vede, però, che questa enciclica potrà avere un forte peso sulla cultura del nostro tempo e, speriamo, sulle scelte economiche e industriali che gli Stati si trovano a dover fronteggiare di fronte alla crisi climatica e ambientale del pianeta. Speriamo anche che apra a un nuovo e forte impegno nel dialogo ecumenico (nev-notizie evangeliche 18/06/2015).