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Christopher Hein: «Rifugiati. Basta parlare di emergenza»

«In Italia molto spesso si reagisce alle situazioni difficili, improvvise ma anche prevedibili con un atteggiamento ex post facto. A mio avviso la prima esigenza è uscire dall’ottica dell’emergenza e dall’utilizzo di questa parola, utilizzata spesso in modo improprio». Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), commenta la politica sui profughi

I media generalisti raccontano ogni giorno di una vera e propria “emergenza migranti” in Italia.

«In Italia spesso si reagisce alle situazioni difficili, improvvise, ma anche prevedibili con un atteggiamento ex post facto. A mio avviso la prima esigenza è uscire dall’ottica dell’emergenza e dall’utilizzo di questa parola, utilizzata spesso in modo improprio. Quest’anno, grazie ai dati rilevati sino allo scorso 16 giugno, via mare sono giunti in Italia sulle nostre coste 58.600 persone, mille in più rispetto all’anno precedente. Non si tratta dunque di numeri drammatici, ma prevedibili. Le cause sono da imputare alla situazione geopolitica con crisi internazionali e guerre che colpiscono duramente milioni di persone; come la situazione in Siria ancora drammatica, senza soluzioni e interventi da parte della comunità internazionale. Dunque è normale assistere al sensibile aumento di rifugiati siriani, persone che cercano di raggiungere i paesi confinanti, la Giordania, la Turchia, l’Iraq, il Libano, l’Egitto. Una fuga in costante aumento. E’ chiaro, prevedibile, che molti rifugiati cerchino un passaggio verso le rotte occidentali. Ovviamente attraverso l’Italia, per chi passa dal Nord Africa. Non parlerei dunque di emergenza, anche se rispetto agli anni precedenti vi è stato un forte aumento di approdi sulle nostre coste e purtroppo un forte incremento di morti in mare: una crescita di richiedenti asilo in linea e in media con i dati europei».

Non è vero dunque che accogliamo solo noi in Italia e l’Europa è indifferente, come sostiene una certa informazione.

«L’Italia ha una percentuale di popolazione residente di circa il 12% della totalità della popolazione europea e dunque gli spetta il 10% di richiedenti asilo da accogliere. Dunque non è vero, come spesso si sente dire che “tutti i migranti raggiungono L’Italia” e non altre destinazioni europee. La vera emergenza – qui la parola emergenza è corretta – la sta attraversando la Grecia. Un’emergenza che tocca le isole greche che in queste ultime settimane ricevono un altissimo numero di persone che fuggono proprio dalla Siria. Un esodo che parte dalle coste turche. Sono a tutti note le difficoltà economiche e le fragilità che sta attraversando la Grecia, dunque possiamo facilmente immaginare cosa voglia dire ricevere una media di 600 persone al giorno: sono i dati accertati. Il numero di siriani giunti in Italia è invece sensibilmente diminuito, altre sono le vie di fuga scelte da chi cerca asilo. Per chi pratica la via mare, le isole greche come dicevo, per chi sceglie la via terra, passando per le rotte balcaniche, la Bulgaria ad esempio. Non a caso Orban in Ungheria ha dichiarato di voler costruire un muro, lungo il confine con la Serbia, per fermare gli arrivi. Dichiarazione che sarebbe da affrontare, spinosa e che la dice lunga sul clima che una certa politica muove rispetto la tema dei rifugiati e dei richiedenti asilo. L’altro problema riguarda la situazione subsahariana: Corno D’africa, Eritrea, Somalia, Sud Sudan, Repubblica Centroafricana, dove non sembrano esserci sviluppi positivi e dove gli accordi con il principale paese di transito, che è e rimane la Libia, non sembrano trovare soluzioni, almeno per ora».

L’utilizzo della parola “emergenza” era una provocazione per chiederle quanto l’uso corretto delle parole sia importante.

«Un corretto uso delle parole è fondamentale. Si parla di temi sensibili, di persone, di difesa della dignità umana. Non si parla solo di numeri statistici e percentuali. E poi, se vogliamo dirla tutta, la parola migranti è abusata. Le persone che giungono in Italia non sono migranti perché al 70% di loro viene riconosciuto l’asilo, così lo è per più della metà delle persone che arrivano in Europa. L’importante esodo a cui assistiamo è quello di rifugiati e non di migranti. Ricordo che per arrivare al riconoscimento si devono affrontare spesso lunghe pratiche burocratiche che prevedono tempi lunghi, dunque i dati potrebbero anche raggiungere cifre superiori».

A che punto siamo con le politiche messe in atto in Italia?

«Devo riconoscere che l’Italia ha fatto grandi passi in avanti, soprattutto in questi ultimi due anni. Il sistema qualitativo di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, sistema Sprar, che prevedeva in partenza l’accoglienza di 3000 posti è stato potenziato di sette volte, arrivando a ventidue mila. E’ previsto un ulteriore raddoppio per arrivare a quarantamila. Non è ovviamente sufficiente ma è un segnale positivo e un passo nella giusta direzione. Le commissioni territoriali che inizialmente erano dieci sono passate a quaranta, ovviamente accelerando così le procedure di riconoscimento. Il terzo elemento positivo è il tavolo di coordinamento sorto presso il Ministero dell’Interno che accoglie anche le Regioni. Alcune pratiche messe in atto si muovono in senso positivo, anche dal punto di vista professionale. Rimangono tuttavia molti limiti legati alle competenze specifiche: spesso alcuni incarichi delicati e decisionali vengono affidati a chi ha già altri incarichi importanti, questo spesso crea ritardi».

Un esodo destinato ad aumentare.

«L’arrivo di rifugiati sta diventando un fenomeno strutturale. Nel 1950, post guerra, è stato creato l’Ufficio per i rifugiati dell’Onu che aveva un mandato di soli tre anni. Sono passati un po’ di anni dalla sua fondazione. Le statistiche dicono chiaramente che i conflitti nel mondo sono in aumento, dunque la risposte politiche europee dovranno essere strutturali, lungimiranti e strategiche. Per questo motivo dico che la parola emergenza, oltre ad essere sbagliata, è fuorviante». 

Foto via Flickr di Eugenio con licenza Creative Commons