La grande muraglia europea
18 giugno 2015
L’Europa che conosciamo è nata dalla caduta del muro di Berlino e oggi si trova a costruire nuovi muri ai propri confini
Sono circa 60 milioni le persone che nel mondo sono costrette a fuggire dalle proprie case e a cercare serenità o libertà in qualche altro paese. Lo dice l’ultimo rapporto annuale dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, pubblicato oggi. Un numero enorme, che riporta alle 64.886 persone che nel 2014 hanno chiesto rifugio nel nostro paese. Molti altri non vogliono restare qui, lo diciamo spesso, ma provano a cercare speranza altrove.
I fatti di Ventimiglia di questi giorni lasciano l’amaro in bocca a chi spera che l’Italia sappia gestire l’accoglienza, o almeno l'emergenza di un centinaio di migranti in un piazzale (o sugli scogli) vicino al confine con la Francia che sbarra la strada.
In queste ore i quotidiani parlano dell’ennesimo progetto di muro che la Fortezza Europa vuole costruire,in Ungheria. Un muro di 4 metri, lungo 175 Km al confine con la Serbia: «una notizia tutt’altro che sorprendente che rappresenta la continuazione e lo sviluppo di una serie di politiche di contenimento della questione migratoria in atto da parecchi anni – dice Francesco Martino, dell’Osservatorio Balcani Caucaso – muri simili sono già stati costruiti dalla Grecia e recentemente dalla Bulgaria, con una rete di 33 Km».
I flussi migratori sono maggiori su quei confini?
«I Balcani in questi anni sono uno dei passaggi utilizzati per arrivare nei paesi dell’Europa centrale, essendo un ponte naturale via terra. Vari paesi che si trovano su questa rotta hanno posto degli ostacoli fisici che però sono un palliativo, perché il risultato pratico di queste iniziative non è diminuire il flusso, ma aumentare i rischi, spesso mortali, per chi tenta di raggiungere l’Europa. Anche qui si nota la mancanza di solidarietà e di politiche comuni da parte dell’Unione Europea e la responsabilità di fronteggiare il fenomeno viene lasciata troppo spesso ai paesi di primo ingresso. L’Europa è nata sulla caduta del muro di Berlino, e oggi si trova a costruire molti muri ai propri confini, una politica che va contro l’anima stessa dell’Unione Europea».
Che tipo di passaggio dovrebbe fermare il muro ungherese?
«Nel contesto delle migrazioni, la questione ungherese è un po’ particolare: lo scorso anno c’è stato un grande aumento degli ingressi, proprio sul confine con la Serbia, di persone che non sono provenienti da zone interessate da conflitti. C’è stato un forte ingresso da parte di cittadini kossovari: cittadini balcanici e futuri cittadini europei. Questa è una questione particolare legata allo stato debole e insoddisfacente dell’economia e dello sviluppo politico in Kossovo che ha provocato un piccolo esodo di persone che hanno passato il confine, diretti soprattutto verso Austria e Germania. Questi paesi dei Balcani sono luoghi di transito e spesso non c’è l’intenzione di volersi fermare, come accade anche per l'Italia. Questa migrazione kossovara ha avuto una parte non indifferente nella motivazione della costruzione del muro. Un altro problema è rappresentato dal fatto che la Serbia è candidata all’Unione e in un decennio dovrebbe entrare a farne parte: un muro tra due stati europei in futuro creerà una situazione difficile da gestire e da interpretare. Credo comunque che questo messaggio della politica ungherese sia stato mandato soprattutto al proprio elettorato, spesso timoroso, impaurito da fenomeni che sembrano ingestibili».
E il muro in Bulgaria?
«Dal punto di vista ufficiale non è stato fatto per fermare chi cerca di varcare il confine, ma per convogliare le persone nei punti di transito riconosciuti. Questo sulla carta, ma la motivazione evidente è quella di scoraggiare l’attraversamento del confine. Da quando è stato costruito il flusso di persone in Bulgaria sembra essere diminuito, ma ci sono state molte denunce di maltrattamenti e di mancato rispetto delle convenzioni internazionali, che garantiscono invece a tutti la possibilità di richiedere asilo. Così come accade in Italia, sembra che la politica ufficiosa sia quella di impedire il più possibile la richiesta di asilo, evitando la procedura di garanzia del richiedente. Molte denunce sono difficili da verificare, ma la percezione è questa».