Accadde oggi, 4 giugno
04 giugno 2015
4 giugno 1913 - L’eroico sacrificio di Emily Davison
“Atti non parole”. C’è tutta l’Inghilterra che conta quel 4 di giugno del 1913 a Epsom, alle porte di Londra, per il Derby, la corsa dei cavalli che richiama la nobiltà e la ricca borghesia dell’epoca, in una parata di vestiti all’ultimo grido, cappellini con ardite composizioni floreali, livree tirate a lucido.
Si perché fra il pubblico c’è anche il re, Giorgio V, e nessuno vuole sfigurare al cospetto suo e dell’intera corte. In questa commedia dell’effimero, che si ripete immutabile ancora ai giorni nostri, questa volta c’è però posto per un colpo di scena che sconvolge il placido svolgersi degli eventi, riscrivendo il finale.
Mentre destrieri e fantini si sfidano a tutta velocità all’improvviso in pista compare una donna. In mano ha uno striscione, una bandiera, ma tutto dura un attimo: mentre cerca di afferrare le briglie di Anmer, il cavallo di proprietà proprio del Re, condotto dal fantino Herbert Jones, Emily, così si chiama la donna, viene travolta e scaraventata a terra. Non si riprenderà più dalle ferite , e morirà pochi giorni dopo.
“Atti, non parole”, questo è scritto sulla sua lapide. Emily Davison era una suffragetta, si batteva da anni per vedere riconosciuti gli stessi diritti ai due sessi, lei che proveniente da una famiglia numerosa era fra mille sforzi riuscita a studiare, per poi vedersi sbarrare in faccia le porte dell’università ambita perché questa ancora non accettava figure femminili fra i suoi allievi. Nel 1906 si era iscritta al Wspu, L’unione sociale e politica delle donne, movimento fondato da Emmeline Pankhurst, e ne era subito divenuta una delle animatrici di punta, con un impegno a tempo pieno che l’ha portata presto sulle pagine dei giornali, sulla bocca della gente, nelle patrie galere, che visita una decina di volte.
Quel giorno vuole alzare il tiro, rovinare la kermesse più glamour dell’anno, strappando titoli e foto a principesse e cavalieri. Al collo del l’animale del re Emily vuole infilare uno striscione viola, bianco e verde, i colori delle suffragette, perché questo sventoli visibile a tutta la folla.
Incredibilmente tutta la sequenza viene filmata da una telecamera fissa, siamo agli albori della cinematografia, e il video si può vedere ancora oggi, spietato nella nitidezza delle immagini, che rendono immediatamente chiaro come l’impatto, violentissimo, lasci poche speranze di sopravvivenza, come infatti sarà.
“Atti, non parole”. Il Re, manifestando il disappunto per la giornata di festa rovinata, si preoccupa immediatamente della salute del fantino, leggermente ferito, e del povero cavallo, che si salverà e tornerà a correre. Ancor più sensibilità dimostra la regina, che in un telegramma sempre al malcapitato Jones esprime il proprio dolore per «un triste incidente causato dal comportamento deplorevole di una donna lunatica e terribile». Parole queste. Gli atti invece: decine di migliaia di persone, uomini e donne, borghesi e proletari, seguono i funerali di Emily. Il popolo, come sempre, ha capito prima dei suoi delegati la portata simbolica di una simile tragedia. Il suffragio femminile nel Regno Unito verrà introdotto nel 1918, 30 anni prima rispetto all’Italia o alla Francia. Emily e la sua bandiera ne hanno una fetta di merito, sempre un passo avanti, senza indugio.