Non esiste solo l'Europa dell'indifferenza
22 maggio 2015
Intervista a Paolo Naso, in Marocco per il progetto di corridoi umanitari e “Humanitarian Desk” della Fcei
Abbiamo già raccontato del progetto di Humanitarian Desk, della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia che, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, propone di aprire un canale che permetta a soggetti vulnerabili di ottenere un visto umanitario per raggiungere l’Italia in condizioni di sicurezza. Il progetto ora ha superato una prima soglia e sono in corso incontri diplomatici in Marocco per dare consistenza alla proposta e definire gli ultimi dettagli tecnici. Il progetto della Fcei e Sant'Egidio è una buona pratica per salvare vite umane e individuare un progetto razionale e sicuro di gestione dei trasferimenti dal Nord Africa all’Europa. Sicuramente non basterà, nemmeno se riprodotto su larga scala, a risolvere il problema dei flussi migratori verso il vecchio continente: per trovare una soluzione globale, infatti, è imprescindibile un impegno maggiore da parte della politica europea.
«Abbiamo già un accordo con le chiese dell’Austria che hanno aderito alla nostra proposta, la comunità di sant’Egidio sta attivandosi fortemente per coinvolgere la Chiesa cattolica in Spagna, e abbiamo dei sostegni importanti che vengono dalle chiese tedesche della Westfalia – dice Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, direttamente dal Marocco – stiamo cercando di dimostrare che esiste un'altra Europa oltre a quella dell'indifferenza: un’Europa ecumenica che ha a cuore i principi fondamentali dei diritti umani e del diritto di asilo».
Cosa sta facendo la vostra delegazione in Marocco?
«Stiamo verificando qual è il contesto generale nel quale si situa la nostra proposta: abbiamo ricevuto espressioni di grande attenzione e di grande interesse. Abbiamo presentato il nostro progetto alle autorità marocchine, in particolare ai rappresentanti del Ministero per l’emigrazione, che ha delle competenze anche per quanto riguarda l'immigrazione, e ai rappresentanti del governo che si occupano di cooperazione internazionale e di diritti umani. Sono stati incontri molto interessanti: il ruolo del paese è importante e delicato in questa partita, perché certamente è oggetto di un flusso consistente dei migranti dall’Africa sud-sahariana, dall'ovest ma anche dall'est, poiché questa è ritenuta una via più sicura per tentare l’attraversata del Mediterraneo rispetto alla Libia. Il governo marocchino, nell’ultimo anno, anche sotto l’impulso del re, ha approvato un’interessante legge sulle immigrazioni che parla esplicitamente di “immigrazione e integrazione” e ha garantito una sanatoria per decine di migliaia di immigrati subsahariani, che vivevano nel paese da molto tempo».
Farete altri incontri?
«Oggi incontreremo l'Acnur, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, con il quale intendiamo istituire un partenariato, e l’ambasciata italiana a Rabat, che ha un ruolo decisivo in tutta questa partita: la maglia nella legislazione vigente che abbiamo trovato e attraverso la quale speriamo di riuscire a far passare il corridoio umanitario, affida all’ambasciata la possibilità di rilasciare dei visti umanitari per persone a cui si riconosce una condizione di vulnerabilità che giustifica un provvedimento particolare, come la concessione di un visto».
Cosa interessa alle autorità marocchine?
«Affermare che il Marocco è un paese più stabile di altri paesi nel nord africa, in cui un esperimento di questo genere è più sostenibile e più sicuro per chi opererà al suo interno. Interessa anche che si crei un canale legale di partenza per immigrati che non intendono stare qui, evitando la nascita di affari criminali. In una precedente missione avevamo già notato l’alto interesse dell’autorità marocchina e oggi lo confermiamo».
Avete già un indirizzo sul futuro da parte delle autorità italiane oppure no?
«La risposta non c’è ancora, e non me l’aspetto neanche oggi. Dobbiamo essere realisti e capire che la nostra proposta si inserisce in una partita europea di dimensioni gigantesche. Nei giorni scorsi si è sostanzialmente infranto il piano di mediazione proposto dal presidente Junker. Il nostro è un progetto che vuole essere sostenibile e razionale: la proponiamo come buona pratica, non come soluzione al tema delle migrazioni globali. Non c’è una soluzione magica al tema drammatico delle migrazioni del Mediterraneo. La proponiamo come pratica adottabile da uno o più paesi dell’Unione Europea, per cercare di salvare qualche vita umana e individuare un progetto razionale e sicuro di gestione dei trasferimenti dal nord Africa verso l'Europa. Un modello che speriamo di poter testare. La proporremo al governo italiano e il 23 giugno la proporremo anche in sede europea. Abbiamo la ferma intenzione di dedicare qui una struttura che acquisisca dati e fornisca a chi opera in Italia e a Bruxelles l’idea dell’urgenza drammatica di casi che meritano l’attenzione particolare: i minori non accompagnati, i malati, i feriti, le donne in gravidanza, persone perseguitate e così via. Un’urgenza che vogliamo documentare e raccontare sperando che, nel quadro delle tante idee che abbiamo sentito in questi giorni, possa essere sperimentata. Abbiamo già un accordo con le chiese dell’Austria che hanno aderito alla nostra proposta, la comunità di sant’Egidio sta attivandosi fortemente per coinvolgere la chiesa cattolica in Spagna, abbiamo dei sostegni importanti che ci vengono dalle chiese tedesche della Westfalia. Stiamo cercando di dimostrare che esiste un’altra Europa, che non è solo quella dell’indifferenza, ma è quell’Europa ecumenica che ha a cuore i principi fondamentali dei diritti umani e del diritto di asilo».
La discussione europea sulla gestione dei flussi resta confusa: questo rafforza il vostro progetto?
«Il modello che proponiamo esce rafforzato dalla discussione europea: il sistema proposto da Junker era insieme troppo forte e troppo debole. Troppo forte nell’idea di un’azione militare, non si sa contro chi e contro cosa con troppi danni collaterali; troppo debole per una pratica negoziata per qualche migliaio di profughi, troppo scarna e fragile. Occorre che l’Europa capisca che le migrazioni mediterranee sono l’epifenomeno di un problema più generale. Da una parte ci vanno le politiche di cooperazione per la pacificazione, e dall’altra occorre capire che le migrazioni non si possono fermare. Il problema è di gestione solidale di questi flussi. Abbiamo ricevuto delle critiche al progetto, anche molto pesanti, da parte di chi sostiene che per affrontare il problema ci voglia ben altro: ma noi ne siamo consapevoli, è l’impianto generale che oggi è in discussione. Serve a educare l’Europa che bisogna fare i conti con la dimensione migratoria, che non è immaginabile costruire un muro: è impossibile dal punto di vista politico, tecnico e mentale. Il nostro progetto nei suoi numeri modesti di buona pratica indica una strada possibile che non risolve il problema domani, ma se si vuole parlare di gestione dei flussi, occorrerà considerarlo».