Manicomio chimico
20 maggio 2015
Rubrica «Finestra aperta» della trasmissione di Radiouno «Culto evangelico» curata dalla Fcei, andata in onda domenica 17 maggio
Il bel libro di Piero Cipriano Il manicomio chimico ci sollecita qualche riflessione sulla situazione attuale dei pazienti psichiatrici in Italia, anche da un punto di vista pastorale. Secondo l’autore il manicomio, se per un verso è abolito, diventa, per un altro verso, gigantesco e inafferrabile allo stesso tempo. La contenzione si è trasformata in una cura farmacologica, talvolta in dosi così massicce da stordire il paziente fino a ridurlo in uno stato agonico. Non si nega la necessità del sostegno terapeutico degli psicofarmaci, ma se ne denuncia l’abuso, atto a sostituire supporto sociale e accompagnamento, per i quali le risorse scarseggiano. Come in altri casi di sanità, le ragioni del mercato condizionano anche la strategia terapeutica.
Inoltre Cipriano, riprendendo il linguaggio di Franco Basaglia, parla di quegli «imprenditori della follia», che traggono la propria fortuna economica dalla medicalizzazione del disagio esistenziale. Si può diventare pazienti psichiatrici senza neppure rendersene conto. Infatti per ogni stato emotivo forte, tra cui, ad esempio, tristezza, lutto, rabbia o timidezza, si offre un aggiustamento farmacologico.
Il disagio psichico può certamente avere un lato psichiatrico, da trattare farmacologicamente, ma non sempre è così e comunque, per quanto possa costarci talvolta molta fatica, le persone che soffrono di problemi psichici hanno anche sempre bisogno di essere accolte, ascoltate, amate. Ed è essenziale accompagnare le famiglie, favorendo, quando possibile, cure domiciliari.
Il caso Lubitz, del giovane pilota tedesco che, malgrado le sue ormai tristemente note difficoltà psichiche, continuava a pilotare un aereo di linea, ha aperto gli occhi sul fatto che maggiori dosi di farmaci non risolvono problemi psichici gravi e che un maggiore accompagnamento è necessario per evitare che compiti di grande responsabilità per la vita di altri siano affidati a persone non più in grado di portarle avanti. La cura non può essere neppure delegata interamente ai Servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura. C’è bisogno di una attenzione sociale e culturale che è necessario si diffonda maggiormente, anche nelle chiese dove le persone possano sentirsi ascoltate e anche sostenute con la preghiera.
Nel Vangelo di Marco è raccontata un storia di guarigione da parte di Gesù di un uomo che veniva curato con i sistemi di contenzione dell’epoca: ceppi e catene. E tenuto lontano dal villaggio, in un cimitero. Gesù lo vede, ne ha compassione, lo ascolta, lo guarisce. Ma quando i paesani scoprono che quella guarigione era costata il prezzo di una mandria di porci, i quali avevano reagito all’intervento di Gesù, precipitandosi nel lago, chiedono a Gesù di andarsene dal loro paese. La perdita economica non valeva, ai loro occhi, il guadagno di una vita umana.
C’è da chiedersi seriamente, quanto siamo disposti a spendere e non solo in termini economici ma anche di energie e di tempo per aiutare chi drammaticamente vive questo disagio e se davvero anche per noi come per Gesù il ritrovato benessere di una persona rivesta un valore inestimabile.