L’Aurora che ci visita dall’alto
14 maggio 2015
Un giorno una parola – commento a Luca 1, 78-79
Il Signore giudicherà tra nazione e nazione e sarà l’arbitro fra molti popoli; ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro e le loro lance in falci
(Isaia 2, 4)
Grazie alla misericordia del nostro Dio, l’Aurora dall’alto ci visiterà, per risplendere su quelli che vivono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi sulla via della pace
(Luca 1, 78-79)
L’Aurora che ci visita dall’alto è tra le immagini più nitide per parlare della misericordia di Dio. È il canto di Zaccaria alla nascita del figlio Giovanni, il precursore di Gesù.
Quella dell’aurora è un’immagine chiara. È la luce del giorno, la luce fresca e chiara che improvvisamente rischiara la notte. Non è soltanto luce, ma la prima luce, quella che si porta via l’oscurità e con essa lo spavento e le ansie della notte. Mi viene in mente l’aurora vissuta come sollievo dal letto dell’ospedale. La prima luce dà un conforto particolare, porta con sé l’aria fresca del mattino e i movimenti impercettibili delle persone intorno e insieme a noi, e l’inizio di un giorno nuovo in cui sperare.
Cristo sarà, dice l’Evangelo, come la prima luce del mattino, quella che consola e rischiara. La luce chiara del mattino non consente soltanto di vedere, come la luce di una lampada accesa nel buio, ma fa scomparire le tenebre, le caccia via, e tutto appare improvvisamente così diverso da non sembrare nemmeno più lo stesso: si distinguono i profili delle case, i colori delle cose, e si vede in prospettiva, puoi guardare lontano e vicino con la stessa intensità. È un’immagine splendida per parlare di Cristo: Dio che si fa vicino, lui che viene dall’alto. Egli porta con sé il profilo vero di ogni cosa, e la sua prospettiva che toglie le ombre scure e crea speranza: “L’aurora dall’alto ci visiterà”, visiterà noi: viene dall’alto la luce, ma viene per noi. Questo piccolo pronome personale è l’evangelo: quelli che vivono in tenebre e ombra di morte non sono altri, più sfortunate, più peccatori, più infelici di noi: è la nostra umanità che ha bisogno di luce e di prospettiva per poter sperare, per poter credere. E Dio, appunto, ci fa visita: non siamo destinati alle tenebre ma alla chiarezza, non siamo destinati alla solitudine ma alla comunione, non siamo destinati alla distanza, ma alla vicinanza. Abbiamo bisogno di essere visitati, e il canto di Zaccaria dice che il Signore viene vicino, viene con la sua misericordia, così vicino da fare sua la nostra vita, sue le nostre tenebre, per farci vedere e donarci la vita che vince la morte. Un’esistenza che ha conosciuto il chiarore della fede, che l’ha visto almeno una volta, non lo può più dimenticare.