Dalla muratura alla teologia
13 maggio 2015
Il percorso spirituale del Decano luterano, Heiner Bludau
Heiner Bludau, pastore a Torino, è da un anno il nuovo Decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi). 59 anni, nato in Iraq (dove il padre lavorava come ingegnere) e cresciuto in Baviera, ha lavorato per molti anni nella Germania dell’Est, giungendo al ministero pastorale attraverso un interessante percorso, che Riforma gli ha chiesto di raccontare.
Come è maturata la sua vocazione pastorale?
«Dopo la scuola secondaria vicino a Monaco di Baviera ho studiato filosofia a Friburgo e, per un semestre, anche teologia cattolica. Provengo da una famiglia evangelica ma non molto legata alla chiesa, e la teologia è stata una scoperta personale, un modo per cercare il senso della vita. Poi sono passato dalla filosofia alla… muratura, cioè a una formazione in campo edile: volevo fare qualcosa di pratico, volevo vivere il vangelo invece di studiare i testi biblici e sono andato come volontario in Israele con un’associazione pacifista, Aktion Sühnezeichen. Dopo questo lungo percorso ho sentito che i tempi erano maturi per studiare teologia con uno scopo più chiaro, diventare pastore. Dopo lo studio della teologia a Göttingen e il «vicariato» (prova pastorale) in Baviera con mia moglie Annette abbiamo pensato di trasferirci nell’Est della Germania, vicino a Dresda, con l’idea di promuovere i contatti tra Est e Ovest in un tempo di crescenti fraintendimenti, di sentire le storie della gente, di comprendere la cultura di chi aveva vissuto l’esperienza della Repubblica democratica tedesca: in altre parole, di incontrarsi davvero senza dare nulla per scontato».
Che impressione ha avuto della spiritualità dei protestanti dell’Est?
«Si tratta di una chiesa di popolo ma al tempo stesso di una minoranza, in un certo senso più «confessante», dove le persone hanno un senso di appartenenza più forte. Per me è stato molto importante il modello della formazione, perché all’est non c’era l’ora di religione nella scuola, e tutta la formazione si svolgeva all’interno della comunità: in questo ho trovato la possibilità di fare una formazione più vicina alla comunità, mentre nella scuola la formazione è più astratta».
Come siete arrivati in Italia?
«Negli ultimi dieci anni prima di venire qui sono stato responsabile di una centro per ritiri spirituali della Chiesa luterana di Sassonia, la Haus der Stille (Casa del silenzio) di Grumbach. Dopo questo servizio sentivo il bisogno di una nuova esperienza; eravamo stati alcune volte in vacanza in Italia e mia moglie parlava già abbastanza bene l’italiano. Quando abbiamo visto che a Torino cercavano un pastore ci siamo detti: perché no? Mi piaceva l’idea di andare in una comunità di recente creazione, e in una comunità bilingue come quella di Torino, dove gli italiani sono una parte molto attiva della vita comunitaria. E penso sia importante che come luterani ci inseriamo sempre di più nel contesto sociale e politico italiano: e le radici tedesche delle nostre comunità non rappresentano affatto un ostacolo, ma piuttosto una risorsa in un’Italia sempre più multietnica e multiculturale».
Nella relazione al Sinodo 2015 ha esordito ricordando gli anni della sua formazione, e ha spiegato il suo modo di intendere il ministero pastorale a partire dal versetto biblico della sua confermazione: «Siate sempre pronti a rendere conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni» (I Pietro 3,15).
Sì, sono convinto che il mestiere del pastore non consista tanto nell’annunciare verità eterne, quanto nello svolgere un compito dialogico: rispondere alle domande di senso, in che cosa possiamo sperare, che cosa potrebbe veramente portarci ad assumere nella vita la responsabilità della fede. Ancora oggi concepisco così il mio compito di pastore: nel dialogo con la Bibbia e la teologia da un lato, e con le persone che incontro dall’altro, dando informazioni su che cosa mi sostiene e ciò in cui spero, e chiedendo loro che cosa li sostiene e in che cosa sperano.